Specialisti della lontananza: ecco chi sono i miei ragazzi. Tecnici del distacco. Esperti dell’assenza. Conoscitori del lutto. Piante cresciute fuori dal fusto. In mancanza d’altro, si legano mani e piedi a poche verità essenziali, stringendo forte, col nodo doppio. Ecco la ragione per cui diventano così tradizionalisti […] I miei scolari erano i vecchi saggi, gli araldi del Feudalesimo, i conservatori. Io il rivoluzionario, loro i tradizionalisti. Io il tecnologico, loro i luddisti. Ma ecco, mi stanno già superando, lanciati a tutta forza verso i cellulari e gli MP3. Non li riprendo più. (Eraldo Affinati)
Ogni contesto scolastico ha una storia diversa legata al territorio in cui è inserito, dunque non si può e non si deve mai generalizzare. Eppure, leggendo le parole di Affinati, ci sembra di riconoscere a fasi alterne un po’ i nostri studenti e un po’ noi. Sto scrivendo questa riflessione e qualcuno ora la starà leggendo, mentre – alunni e prof. – continuiamo a rincorrerci e a vivere questo tempo che ha già prodotto l’ultima nuova generazione di ogni oggetto tecnologico. Non li riprenderemo più davvero o non ci riprenderemo psicologicamente dalle novità? C’è un piano, tuttavia, su cui dobbiamo correre il rischio di stare al passo con qualunque “tipo di scolaro” ed è quello dell’ascolto, cioè dell’orecchio (anche quello della mente e del cuore!) teso ad ogni nome che l’appello ci mette davanti. La vera rivoluzione sarà allora trasformare ogni giorno quei numeri e quell’ordine alfabetico in una storia che ci narra di sé.
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