Leggendo Carlo Rovelli, un fisico italiano di stanza all’Università di Marsiglia per insegnare fisica quantistica ed autore di pillole di scienza con l’occhio alla filosofia (La realtà non è come ci appare, Sette lezioni di fisica, L’ordine del tempo, Helgoland), crollano molti miti di quello che vediamo ed apprendiamo che molte cose sono diverse, come diversi sono i concetti che abbiamo costruito. Valga per tutti l’esempio che la Terra ci appare immobile mentre gira a velocità inimmaginabile. Anche il concetto di tempo, che pure occupa una parte determinante della nostra esistenza, va completamente rivisto rispetto a quello che ci appare: non esiste un tempo uguale poiché esso scorre a velocità diverse anche con uno spostamento di pochi metri (ad esempio è più veloce in montagna che non al mare, intuizione che risale almeno ad Einstein). Eppure le convenzioni che ci siamo dati ignorano questa differenza: il tempo è convenzionalmente uguale per tutti in un determinato luogo poiché ad esso sono legati i ritmi dell’organizzazione della vita sociale: è necessario indicare l’orario comune a tutti per consentire che determinate attività (il lavoro, come gli spettacoli, le Messe come le scuole) siano vissute in maniera condivisa.
Una premessa ovvia quanto banale per dire che dobbiamo misurare ciò che possiamo percepire e che determina le nostre funzioni vitali e sociali e non lasciarci ingannare da informazioni scientificamente esatte ma superflue per il nostro vivere quotidiano: chi non opera nei mercati internazionali è indifferente all’orario di New York come di Sidney; chi vive in Sicilia è poco interessato all’inquinamento dell’aria a Milano e così via per innumerevoli informazioni e notizie che intasano costantemente i canali di comunicazione e che sono del tutto indifferenti per la stragrande maggioranza delle persone: tempo addietro si usava la denominazione “paese reale” per indicare lo scollamento del mondo effettivo da chi pretende di dare istruzioni tanto che si invitavano i sapienti a girare tra la gente; poi la tendenza è cambiata e anche chi doveva fare domande si è seduto nell’anticamera a raccogliere le prebende: è accaduto con i sindacati, con i giudici, con i giornalisti, con tante categorie che hanno contribuito a sollevare il popolo dalle trappole in cui i potenti l’avevano imbrigliato ma poi, per ignavia, incapacità o malafede, hanno preferito sedersi con i primi, abbandonando gli ultimi e con essi gran parte del popolo.
E per mantenere le posizioni sciorinano dati ed informazioni che poco o nulla hanno a che fare con gli interessi, chiamiamoli pure locali per intenderci, della stragrande maggioranza delle persone, che ha preso le distanze, rimanendo silenziosa: i dati sull’astensionismo elettorale non sono mai (volutamente) esaminati ma ci vuole poco a capire che se ad esempio alle ultime elezioni per il sindaco di Roma ha votato il 40,68% ed il candidato eletto ha conseguito il 60,15% questo risultato corrisponde al 24,46% degli elettori e, effetto ancora più eclatante, chi governa lo fa contro il volere, espresso o tacito dell’85,54%! Ci siamo abituati ormai, e da tempo abbiamo anche preso le distanze.
Ma rimaniamo incastrati ancora sull’informazione persistente ed invasiva che ci viene imposta da tutti i mezzi di comunicazione che ci impediscono di dedicarci alle attività ed alle faccende che invece ci occupano: il lavoro (individuale), la famiglia (la nostra), l’istruzione (che ci appartiene) e viviamo sospesi tra i desideri che ci vengono propinati come necessità ed i bisogni che inutilmente posponiamo per essere al passo, non si sa con chi e neanche perché. Eppure la contestazione giovanile ci aveva reso immuni dalle omologazioni (ricordate la terminologia?), aveva scosso le nostre emozioni e valorizzato le nostre idee (individuali non quelle collettive), ci aveva spinto verso l’arte e la cultura, ci aveva insegnato il rispetto delle idee altrui, il valore della persona, l’alienazione delle mercificazioni. Mai nessuno avrebbe pensato che le battaglie per i diritti delle donne le avrebbero portate seminude sulle copertine dei rotocalchi, in vetrina per esporre il loro corpo reso più godibile da scellerate operazioni di apparenza! Qualcosa deve essere andato storto. Forse è meglio ascoltare meno il banditore e un po’ di più chi ci ama davvero.