Perché uno studente bocciato, pur potendo scegliere altre scuole da frequentare l’anno successivo, si è iscritto nella stessa che lo ha respinto? Avrebbe avuto diritto a lamentarsi, a tenersi distante un po’ di miglia dall’istituto, a provare altre strade, una scuola nuova in cui ricominciare quasi come se nulla fosse. Colpa della famiglia che lo ha costretto a tornare sul luogo del misfatto? Forse un modo per dimostrare ai suoi docenti che si sono sbagliati e fermato per un anno chi non lo meritava proprio, o magari l’occasione di “fargliela pagare”, nel senso di “ora sì che dovrete sopportarmi davvero”?
Eppure, a quasi un mese e mezzo dal suono della prima campanella, non sembra proprio che ci siano astio, recriminazione, desiderio di rivalsa in negativo o di “vendetta”, semmai serenità e giovialità. Dunque ritorna la domanda iniziale, la stessa che anche da docenti ci siamo posti almeno per un attimo, leggendo quel nome sull’elenco della classe, mettendo da parte la mera logica dei numeri e puntando su quella luminosa dei valori; gli stessi valori, arricchiti da un attento confronto e lunghe riflessioni, che abbiamo tenuto presenti in occasione degli scrutini finali l’anno precedente.
Lo abbiamo bocciato, ma non certo per cattiveria; lo abbiamo bocciato per la condotta e per lo scarso impegno nello studio, ma non certo come persona; lo abbiamo respinto in un anno importante, però mai abbiamo smesso di guardarlo negli occhi con lo sguardo di chi continua a crederci. Occhi tristi, però, perché bocciare non piace a nessun docente, sia pensando alla sofferenza dello studente sia considerandolo una propria sconfitta didattica e educativa. La risposta non va cercata lontano, bensì nell’ambiente che la scuola ha creato negli anni e nelle relazioni significative realizzate tra studenti e docenti, e con le famiglie, in quella porta mai chiusa del tutto dall’esito negativo finale, ma sempre con lo spiraglio della luce dell’accoglienza, con il passaggio dell’aria fresca della “promozione” della persona.
Lo studente è tornato in campo con gli stessi allenatori ed una nuova squadra, con lo stesso Presidente, però con una consapevolezza in più, quella di non sentirsi sbagliato e fuori luogo, anzi con una nuova opportunità e al posto giusto. È servita la bocciatura, allora? Beh, se servire vuol dire “te lo sei meritato ed ora a testa bassa studia senza lamentarti”, direi che non va; però, se porta ad affermare “farò tesoro degli sbagli per non commetterne di simili, anzi migliorerò”, questo certo che va! Casi isolati? Mosche bianche, qualcuno dirà. E se ci fosse anche un altro studente nella stessa situazione e nella stessa scuola, magari respinto da un altro Consiglio di Classe? La questione non sta nel bocciare o non bocciare, quanto invece nel contesto e nel clima in cui ciò avviene o non avviene, contesto e clima che non si improvvisano o si recuperano ai supplementari, ma da creare giorno per giorno.