Nella storia si conta una lunghissima lista di pandemie che hanno avuto effetti devastanti su popolazioni ed economie, ma in tempi moderni il mondo si era illuso di avere vinto le pandemie da batteri, sconfitti dagli antibiotici, e di avere messo sotto controllo quelle da virus, con le vaccinazioni. Ciò che si era dimenticato è che i virus sono in continua produzione e le condizioni generali del mondo (inquinamento, sfruttamento smodato della natura, promiscuità con animali selvatici, globalizzazione di cose e persone) fanno diffondere i nuovi virus con rapidità sconosciute nel passato, creando vere e proprie “sindemie”, ossia un concorso di circostanze con effetti perversi.
La prima cosa, dunque, che si è imparata è che anche le nostre società “avanzate” sono vulnerabili ai virus e devono affrontare una trasformazione del loro modo di funzionare, per abbassare drasticamente le condizioni di produzione dei nuovi virus e la rapidità della loro trasmissione. Ciò che va particolarmente sottolineato è che il mondo non sarà mai sicuro nei confronti di un virus fin che non lo avrà sradicato in tutte le sue parti (come è avvenuto per il vaiolo), anche perché, come si sta vedendo in questi giorni, uno stesso tipo di virus può mimetizzarsi in molte varianti prima di arrendersi.
Senza un vaccino, non c’è altra protezione contro un nuovo virus che quella di isolarsi, il che ha sempre provocato pesanti crisi economiche. Nel nostro caso, la maggiore disponibilità economica delle nostre società ha permesso a vari governi di intervenire massicciamente, in primo luogo a sostegno dei redditi di coloro che restavano disoccupati e delle imprese che dovevano chiudere per mancanza di clienti confinati in casa e in secondo luogo per predisporre quegli investimenti capaci di produrre le trasformazioni necessarie per combattere la “sindemia” segnalata sopra.
L’Unione Europea, che dal tempo della crisi finanziaria del 2008 si trovava in gravi difficoltà, ha mostrato un sorprendente “colpo di reni”, dichiarando da subito che non ci si poteva salvare da soli, come Papa Francesco non fa che ripetere. Il lancio del Next Generation EU, anche detto Recovery Plan, è stata una novità assoluta: un grande programma di investimenti congiunti in tutta Europa, per combattere l’inquinamento e il riscaldamento climatico, per estendere la connessione internet a tutti, per migliorare le infrastrutture, per produrre energia pulita, per rafforzare i sistemi sanitari e lanciare programmi di riqualificazione della forza lavoro che dovrà cambiare attività e imparare a gestire lo smartworking.
Se l’impatto economico del programma sarà senza dubbio sostanzioso, anche il suo impatto politico sarà importante, portando ad affievolire il populismo e il sovranismo e a rafforzare l’identità europea, che ci servirà per affrontare meglio la competizione con USA e Cina. L’impatto sociale sarà quello di rimettere in gioco tante persone marginalizzate, non si potrà purtroppo raggiungere una vera uguaglianza, ma a molti saranno date nuove opportunità di lavoro e di vita.
C’è per l’Italia una condizione dirimente per ottenere questi risultati: riuscire a vincere le lentezze burocratiche che da anni attanagliano il paese, da quelle autorizzative a quelle giudiziarie. È il momento di abbandonare lo scoraggiamento e mettersi di lena a dare una mano a questo Paese, che tante brillanti mete ha raggiunto in passato e può ancora stupire.