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Il vero vaccino è il rispetto delle regole

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Ormai sono quasi tutti concordi nel pensare che questa segregazione (lockdown per i più convinti sostenitori) sia positiva e che forse, era proprio quello che ci voleva per porre fine a tante esasperazioni, avendo finalmente portato un po’ di ordine nella vita quotidiana: rallentamento dei ritmi, educazione civica, maggior tempo con la famiglia, fine del tran tran, men o traffico, riduzione drastica della microcriminalità, treni puntuali e non affollati e tanto altro.

La prima riflessione da fare deve servire a capire quanto ci sia di spontanea convinzione e quanto invece possa essere frutto di quello spirito di adattamento cui ricorre l’animale (utilitaristico per eccellenza) ed al quale pure l’uomo non riesce sovente a sottrarsi: quando si percepisce che la musica è cambiata sono davvero in pochi quelli che combattono per ripristinare il modello culturale violato mentre sono in molti che, invece, si adeguano e si auto convincono che addirittura la situazione è migliore; una sorta di effetto, inconscio ed automatico, analogo alla sindrome di Stoccolma, in cui si cerca di stare bene nella nuova situazione anche se a prezzo di qualche rinuncia, che, seppur ritenuta importante, viene minimizzata.

Piano piano si diffonde la convinzione che indietro non si torna (è stato qui scritto che non torneremo alla normalità perché quella non era la normalità) e che bisogna organizzarsi per andare avanti. Ed è qui che bisogna sforzarsi di capire.

Il modello democratico sembra definitivamente tramontato e lo dimostrano alcuni elementi tipici: il capo del governo non è quello indicato dal risultato elettorale, il parlamento è espropriato della sua funzione primaria che è la formazione delle leggi, oggi, e da tempo, decise dal governo, che nella fase emergenziale ha addirittura modificato la gerarchia delle fonti legislative, promuovendo il DPCM (decreto del presidente del consiglio dei ministri: oggi in gran voga e diffusione) da atto amministrativo qual è a fonte legislativa, peraltro in parte delegata da decreto legge, in violazione del principio della riserva di legge sulla potestà delegata. I giuristi si sono prodotti in innumerevoli interventi a dimostrazione che le garanzie costituzionali della Repubblica sono state sospese (se non soppresse) in maniera certamente illegittima ed incostituzionale poiché le libertà individuali non possono essere compresse da atti del governo.

Ma tant’è, e sono in tanti a pensare che va bene così, come se le garanzie costituzionali fossero lacci e pretesti da legulei d’altri tempi, mentre occorre concentrarsi a risolvere subito i problemi più impellenti. Non ne è l’anticamera ma è già la dittatura del governo, e va pure bene, anzi benissimo così, visto che ci stiamo abituando da tempo in tal senso e tutti gli interventi e le proposte vanno in questa direzione. Prendiamone atto.

L’obiettivo da discutere è la direzione in cui quest’azione si muove: sarà davvero lo sviluppo e la crescita? Ci sarà risposta alle domande di lavoro, ormai improcrastinabili? Potremo tornare a godere liberamente dei nostri beni? Gli interventi legislativi saranno efficacemente rivolti alla giustizia, alla sanità ed all’istruzione per garantire le conquiste faticosamente raggiunte? Parlo dell’accesso indiscriminato a tutti, della necessità di una risposta concreta e positiva a chiunque ne faccia legittima richiesta, parlo di pari opportunità e possibilità, in un confronto non solo meritocratico ma in linea con il fondamentale secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, che richiama un’uguaglianza non solo formale ma impone l’obbligo dello Stato di rimuovere qualunque ostacolo alla realizzazione dei diritti di tutti.

Se l’azione di governo offrirà serietà operativa e garanzie di efficienza sostanziale e non aziendale, giacché la Repubblica deve provvedere ai bisogni del popolo e non alla produzione di utili, allora sarà la direzione giusta, sempreché il sacrificio imposto alla libertà dei singoli non superi il livello di guardia del rispetto della persona, della famiglia, del patrimonio e della dignità individuale e collettiva.

Roberto de Tilla: