Dall’inizio del XIX secolo, in reazione ai dissidi interni (il modernismo) e alle minacce esterne (il razionalismo filosofico e soprattutto il materialismo ateo del marxismo), la Chiesa si era caratterizzata per una sempre più accentuata uniformità sul piano del governo, su quello liturgico e pastorale, con una conseguente stagnazione a tutti i livelli ecclesiali. E, peggio ancora, con una situazione che poteva dar a credere che fosse stato raggiunto il massimo di cristianizzazione, mentre in realtà si andava espandendo una religiosità più che altro anagrafica. Proprio per questo, e intuendo ciò che si andava preparando sulla scena del mondo, Giovanni XXIII – il Papa che un po’ tutti, per l’età avanzata, consideravano un “Papa di transizione” – aveva preso quella decisione, pur così rischiosa. E poi, nemmeno tre mesi dopo l’elezione, l’aveva annunciata ai cardinali di Curia. Era il 25 gennaio 1959. E, nel cenobio benedettino accanto alla basilica di san Paolo, i porporati, a sentire quella parola, Concilio, erano rimasti scioccati, increduli. E, aveva commentato ironicamente il Pontefice, avevano reagito con un “impressionante devoto silenzio”. Era la reazione di una Chiesa che non voleva cambiare nulla, perché aveva paura di cambiare. E che, nella fase preparatoria, avrebbe compiuto sistematicamente un’opera di contenimento, di opposizione, al fine di condizionare i vari schemi in una direzione ben precisa.
Ma Giovanni XXIII non si era scoraggiato. Non era passato al contrattacco, e però, in questo modo, si era riservato uno spazio di libertà e di azione che gli aveva permesso di portare avanti il suo programma di “aggiornamento”. Programma che Roncalli confermerà tutto nel suo eccezionale discorso all’apertura delle assise. Sono passati sessant’anni, un tempo enorme per una società che vive tutto in fretta e dimentica presto. Ma, proprio per questo, bisogna tornare a quell’11 ottobre del 1962. Bisogna ricordare che cosa significò quel giorno. Da allora sono già cresciute due, tre generazioni, che hanno visto quell’evento soltanto in tv, in un documentario o in qualche ricostruzione storica. E i giovani, soprattutto i giovani? Sapranno poco o niente di quando la Chiesa cambiò profondamente il volto del cattolicesimo, il suo modo di pregare, di annunciare il Vangelo, di viverlo, di rapportarsi alle altre Comunità cristiane, alle altre religioni. E anche – come disse con una efficacissima battuta il cardinale Roger Etchegaray – di quando la Chiesa cominciò ad “abbassare i suoi ponti levatoi”, e quindi a uscire dal suo secolare isolamento.
Ed ecco perché, conoscendo quella storia, sarà possibile farsi un giudizio più obiettivo sulla Chiesa di oggi. Senza nascondersi i gravi problemi che la attanagliano, la crisi che sta attraversando. Ma senza neanche dimenticare il cambiamento epocale che, grazie al Concilio, la Chiesa seppe operare. Avendo avuto l’umiltà e il coraggio di chiedere perdono per gli errori del passato, e di ripensarsi, di rinnovarsi. La grande venerazione del mondo ortodosso verso Giovanni XXIII, espressa già all’indomani della sua morte, tanto da considerarlo un santo e un patrono dell’ecumenismo, rivelano l’effetto che hanno avuto l’ispirazione ed il coraggio della spinta ecumenica anche in questo pontefice.
Più che un gesto, la lunga esperienza come rappresentante della Santa Sede in Paesi come la Grecia, la Bulgaria e la Turchia, dove è la sede del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, offrirono al cardinal Angelo Roncalli l’opportunità di conoscere da vicino e amare i popoli ortodossi e di associarsi con legami particolari al patriarcato ecumenico. Il ricordo del suo soggiorno ad Istanbul è ancora vivo, perché la sua familiarità con gli ortodossi in quel contesto lasciò un’impronta indelebile della sua personalità e contribuì non poco a suscitare lo spirito di apertura nei confronti dell’ortodossia che lo animava. Giovanni XXIII realizzò il passo decisivo nel cammino della Chiesa, grazie alla sua importante e coraggiosa decisione di convocare il Concilio, che tra l’altro, con le sue indicazioni, ha aperto la strada per la partecipazione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico, in vista del ripristino dell’unità dei cristiani. Tale evento, insieme alle virtù di dolcezza, bontà e amore, proprie del suo carattere e del suo stile di vita, giustifica pienamente l’onore della canonizzazione riservato a lui dalla Chiesa cattolica. A giudizio di Saracino, per Giovanni XXIII lo stesso sguardo rivolto al Vangelo rendeva possibile la speranza di veder riaffiorare all’orizzonte la piena unità ecclesiale e sacramentale tra ortodossi e cattolici. Per oltre mille anni, infatti, la comprensione comune del Vangelo in Oriente e Occidente si esprimeva anche nella piena comunione sacramentale.