Ero capo della Squadra Mobile quando una signora chiese di potermi parlare. Entrò sola nel mio ufficio e mi raccontò che tutte le notti un demone si impossessava di lei. Si alzò la gonna: aveva dei segni di violenza alla pancia. Era evidente che si era procurata dei vistosi tagli. La ascoltai con pazienza poi feci entrare il marito. Stavo per dirgli che la moglie era malata ed aveva bisogno di uno psichiatra quando lui esordì: “Dottore, sono preoccupato perché mia moglie la notte viene violentata da un demone ed io non so come difenderla“. Che cos’è la pazzia?
Con il termine pazzia si indica genericamente una condizione psichica che identifica “una mancanza di adattamento che il soggetto esibisce nei confronti della società, spesso in maniera anche non pienamente consapevole, tipicamente attraverso il suo comportamento, le relazioni interpersonali e stati psichici alterati ovvero considerati anormali fino a causare stati di sofferenza psicologica per il soggetto”. Di pazzi nella mia vita credo di averne incontrato tanti. Alcuni che si erano macchiati di delitti orribili. “Ogni volta che entravo in casa quella donna mi guardava. L’ho dovuta uccidere”. “Mi ha messo un microchip in testa e mi comandava a distanza”. “È stato il demonio ad ordinarmelo. Dovevo farlo“. Spesso davanti ad un corpo sfigurato mi sono sentito dire: poverino è stato sfortunato. Come se il caso possa dare ordine al destino dell’uomo.
Prima della Legge 180/1978 i malati con disturbi psichici erano considerati irrecuperabili e pericolosi socialmente: venivano allontanati dalla società, emarginati e rinchiusi nei manicomi. Entrare in un manicomio era come entrare in un lagher: poveri esseri disperati, rinchiusi e segregati, legati ad un letto, denudati e sporchi, esseri senza alcuna dignità. La legge Basaglia ha restituito a questi esseri una dignità. Ma possiamo dire che a distanza di quarant’anni i problemi del disagio psichico sono stati risolti? E la malvagità di alcuni uomini si può scusare con la pazzia? Credo di no.
“Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se guarderai a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te”. Non posso che convenire con Nietzsche: la sofferenza ed il disagio psichico sono contagiosi. Se entri in correlazione con un pazzo cercherà di coinvolgerti nella sua sofferenza. E allora? È giusto che la società lasci vivere “liberamente “ ed incontrollate persone psichicamente destrutturate, bombe innescate che non sapremo mai quando esploderanno? È giusto che una persona malata di mente sfondi una porta ed uccida una persona che sta dormendo serenamente nella propria casa? Credo che la Legge Basaglia abbia bisogno di essere ulteriormente riformata e che il malato psichico debba subire controlli severi da parte della società civile che ha il diritto di difendersi da lui.
Un pazzo è un egocentrico ed è indispensabile quando si entra in relazione con lui cercare di comprenderne il carattere. Uno psicopatico tende a giustificare sempre i propri comportamenti criminalizzando quelli delle persone che gli stanno accanto. Ora chi ha dato evidenti segni di pazzia e pericolosità sociale rischia di essere ristretto in una rems, misura di sicurezza detentiva che viene applicata dalla Autorità giudiziaria ai sensi della legge 30 maggio 2014, n. 81. L’esecuzione delle misure di sicurezza può portare il soggetto pericoloso negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) come previsto dall’art. 3-ter del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211 ,convertito in legge 17 febbraio 2012, n. 9. Ma queste misure sono sufficienti ad assicurare “una vita“ ad un malato psichico ed ai suoi familiari oppure chi ha in casa un malato psichico deve egli stesso trovarsi in una situazione di difficoltà e di insicurezza?
Gli episodi di pazzia criminale hanno una loro ciclicità: in alcuni periodi dell’anno come all’inizio della stagione estiva sono più frequenti. E la lunga restrizione in casa per il Covid ha avuto la sua bella parte di responsabilità: malati abbandonati ai propri fantasmi per settimane. Il fenomeno va monitorato e tenuto costantemente sotto controllo, un monitoraggio obbligatorio. Così come è possibile attivare oggi una app immuni si dovrebbe attivarne una analoga che segnali alle forze dell’ordine uno spostamento non autorizzato per prevenire episodi come quelli che leggiamo troppo di frequente. Serve il potenziamento dei servizi psichiatrici per garantire percorsi adeguati di presa in carico delle persone che hanno bisogno di assistenza. Il malato mentale non può essere trattato come la polvere che viene nascosta sotto al tappeto.
Nella mia esperienza ho visto casi umani disperati. Ho davanti a me il volto di una giovane donna con in casa due fratelli malati psichici, una donna straordinaria che chiedeva aiuto perché doveva assistere questi due ragazzi che rappresentavano un potenziale pericolo per se stessi e per gli altri. Un malato psichico non ha bisogno della polizia o dei Carabinieri: quella è l’extrema ratio. Un malato psichico ha bisogno di assistenza e, come diceva il Servo di Dio don Oreste Benzi, di amore assistito in famiglia, supportato da politiche sociali perché ci sono fasce socialmente più deboli e vulnerabili con una maggiore esposizione al rischio di malessere e di sofferenza. Penso ai bambini, agli adolescenti, agli anziani, specie se soli, ai migranti, alle famiglie a basso reddito che oscillano tra piccola e grande povertà afflitte giornalmente dalla fatica del vivere. Se vogliamo prevenire tragedie dobbiamo attuare una politica di prevenzione e di assistenza.
Oggi è la “Depressione” destinata a divenire la causa più frequente di malattia nel 2020. L’Unione Europea, mettendo a confronto i dati statistici forniti dai Paesi membri stima che il 27% della popolazione soffre di un disturbo mentale significativo almeno una volta durante la vita. Il superamento e la chiusura dei manicomi è un obiettivo raggiunto ed acquisito ma va orientato il sistema dei Servizi, sia per i dispositivi organizzativi che le metodologie e le prassi operative sul recupero della Salute Mentale della persona e la sua inclusione sociale attraverso la progettazione di percorsi di cura in cui conoscenze tecnico-scientifiche e risorse sociali coagiscono nel perseguimento dell’obiettivo. Il disagio mentale è comunque un problema sociale ed una risposta va data con una politica programmatica della salute mentale che riguarda la persona ma che è e resta un bene collettivo.