Questa è una riflessione politica aperta al confronto, inclusiva di sensibilità diverse verso le quali è offerta in valutazione, interamente orientata a generare una o più azioni per il governo del Paese. Poiché viene da una parte che intende partecipare a una più che complessa attività politica, in condizioni di rinnovamento dei modi di intenderla e delle persone da applicarvi, è d’obbligo enunciare, una parte per il tutto, due principi ispiratori: la costanza e la novità. Chi abbia dimestichezza con la Dottrina Sociale della Chiesa li ha già chiari. Per me e per chi li vuole esplicitati, occorre dire che la costanza adombra la continuità dell’ispirazione data dall’incontro dell’uomo (nelle sue proiezioni civili, sociali ed economiche) col vangelo; la novità è rappresentata dal fatto che il pensiero sociale è continuamente aggiornato, accompagna l’evolversi della storia, restandone comunque il testimone, quando non l’artefice.
Una crisi di valori
Certo, desideriamo lavorare in continuità con i valori che ci accompagnano nella vita, compresi quelli appena enunciati della Sollecitudo Rei Socialis, ma sempre in relazione con tutti coloro che li condividono, per averli desunti, semplicemente, dalla loro storia individuale, dalla loro cultura o da culture diverse. Cade, questa riflessione, nel mezzo di una crisi gravissima. Non crisi di governo, né crisi di legislatura. Bensì crisi di valori umani, civili e sociali. Di seguito ad un indebolimento delle strutture portanti della politica, ispirazione e proiezione istituzionale, s’è aperta, come è avvenuto ed avverrà, un porta dalla quale sono transitati molti valori negativi, per lo più sussumibili nel concetto di violenza, sia di tipo verbale che sulle persone, violenza che non ha trovato argine nella rappresentanza politica.
L'improvviso declino di un sistema
Questo è un punto cruciale. In Italia, dopo la Costituzione, o meglio al cospetto della nostra Costituzione, non c’è spazio per i valori negativi, non c’è spazio per la violazione dei diritti, non c’è spazio per la discriminazione nelle sue diverse declinazioni, non c’è spazio per l’aggressività bellicosa verso le organizzazioni internazionali e verso gli Stati. E allora dov’è il pericolo? A mio avviso, esso risiede nel fatto che il declino di un sistema avviene sempre all’improvviso. Si indeboliscono le strutture morali portanti ed avviene il crollo. Quando ciò avviene nei sistemi autoritari, neri o rossi che siano, ce ne rallegriamo. Ma dobbiamo mettere in conto che può accadere la stessa cosa ad un sistema democratico. Dobbiamo domandarci se, singolarmente presi, i partiti in essere e le loro proiezioni parlamentari, costituiscano un argine democratico adeguato.
A stare alle elezioni passate, le ultime in particolare ma anche a quelle precedenti, il disvalore sovranista è ormai transitato nel sistema. Pervade di sé intere e omogenee forze politiche, la Lega come i Fratelli d’Italia, s’intravvede in altri partiti (il Pd con il suo tentativo di stravolgere la Costituzione, i 5 stelle con reiterate accondiscendenze legislative verso la Lega nonché con il desiderio originario di uccidere la democrazia rappresentativa, Forza Italia che ne ha precorso e preparato l’insediamento istituzionale e comunicativo). Parafrasando Gianrico Carofiglio (che ascrive alla saggezza esperta del maresciallo Fenoglio la riflessione che segue) “noi vediamo quello che riconosciamo”. E, prosegue, “gli schemi servono per orientarsi nel mondo e per prendere decisioni rapide. Il problema sorge quando i fatti non corrispondono allo schema”,
L'uso del popolo
E i fatti della politica italiana non corrispondono più allo schema democratico. Prendiamo l’uso del popolo come soggetto/oggetto fattone dai populisti. E’ un uso estraneo alla legalità costituzionale. E’ tirato, il popolo, da una parte all’altra, è scempiato. Ci viene in mente quel che avvenne nella Francia rivoluzionaria. Si accorsero che il “popolo” veniva brandito come un’ascia e chiesero (Adrien Duquesnoy, nel 1791, nel suo “L’Ami des patriotes”) che l’Assemblea nazionale richiamava “molto severamente” chiunque abusasse dei richiami al popolo, sia che lo facessero strumentalmente “les mechants”, sia che fosse una sorta di difesa preventiva dei “simples et crèdules”. E l’Assemblea nazionale, per frenare lo smembramento del popolo, fissò un principio “che al solo popolo, preso unitariamente (collectivement) appartenesse la vera sovranità”.
Un nuovo schema
Capisco lo smarrimento. Scorrendo i pronunciamenti dei vari Grillo, Di Maio, Di Battista, Salvini, nonché dell’intera comunicazione social da loro amministrata, ci accorgiamo di non avere uno schema da applicare. Lo si è superato nello scorrere dei secoli democratici. Lo schema che va per la maggiore, agitato nei partiti, con varie sfumature, eccezion fatta per i sovranisti duri e puri (per gli altri è una subordinata), consiste nel denunciare il pericolo del succedersi ravvicinato di consultazioni elettorali. Si cita (poco, per la verità) Weimar e i soliti schemi mandati a memoria. Ma il fatto nuovo, per cui lo schema è inappropriato, è costituito dalla presenza di proposte e forze politiche che intendono travolgere la Costituzione. A parte, qualche esempio tra i partner europei, da ultimo la Spagna, un rinnovato modo di affrontare la crisi vorrebbe che si analizzasse il dato di fatto. Ebbene, può un Parlamento che meno di due anni fa si è formato su basi populiste (grilline e leghiste) e ha subito trasformazioni epocali (il contratto di governo, la mozione indirizzata a sé stesso e mille altre che facilmente si rintracciano nelle leggi varate e nelle prassi parlamentari) essere il garante democratico di un qualsiasi governo che si formi nell’immediatezza della crisi per operazioni più o meno urgenti e necessarie? No, lo schema non soccorre. Qualcuno ha provato a riflettere sul cambiamento necessario ed ha rispolverato schemi di nobili tradizioni, la formazione di un Cln, tuttavia inadatti al presente, intanto perché facili da aggredire sul piano della propaganda e poi perché appartenenti ad una fase storica con caratteristiche del tutto diverse.
Una lista civica nazionale
Io credo che le forze politiche, tutte in debito con la Costituzione e la democrazia, per aver assecondato la caduta del principio di affidamento nello Stato facendolo affogare nel populismo, debbano rispondere ad una domanda preliminare del tutto semplice: posso vincere le elezioni? Posso battere Salvini e Meloni? Posso evitare, da solo, un inverno alla debole democrazia italiana? Se la risposta è negativa, per tutti i motivi noti, compreso quello del sistema elettorale vigente, allora occorre un nuovo schema di lavoro. Occorre una Lista Civica Nazionale. Unificata da un programma di Governo che sia nient’altro che la propria proposta di bilancio dello Stato. Le forze sovraniste sono state votate da un 50% di elettori, dunque in valori assoluti valgono la metà delle percentuali ottenute. Il restante 50%, se non si vuole essere populisti, è largamente rappresentativo di un corpo elettorale esausto, che non riceve un’offerta di rappresentanza che lo convinca a votare. Se non si vuole essere populisti ed egoisti, questo 50% contiene anche un gran numero di elettori che di fronte al rischi di annegamento della Costituzione nei vortici di neoarchitetti dell’assurdo istituzionale, sono andati a votare nel 2016. A dire che sanno leggere il pericolo ed amano il Paese. Dire oggi che va proseguita una legislatura che vede rappresentate in Parlamento forze populiste e similpopuliste è un obbrobrio e nasconde , neanche velatamente, in alcuni l’attaccamento al ruolo, in altri un logoramento della capacità di analisi della politica.
Una proposta
Lo schema democratico, in questo particolare e drammatico tornante della storia, non può non volere quanto segue: il corpo elettorale si pronuncia su due proposte di fondo, l’una populista, l’altra democratica; la lista civica nazionale, della quale fanno parte forze di partito esistenti, (unitarie o parziali), movimenti consolidati, partiti allo stato nascente (come quello di ispirazione cristiana), presentano la propria proposta di bilancio dello Stato, sicché appena eletti (ed auspicabilmente vincitori) l’approvano in Parlamento. Una proposta del genere garantisce, contemporaneamente, il Presidente della Repubblica che avrà sciolto il Parlamento in essere su un presupposto democratico inoppugnabile, i mercati che avranno tutte le possibilità di valutare la volontà economico-finanziaria del Governo a venire, l’Unione Europea che potrà verificare ex ante la lealtà italiana (non solo quella di Paese promotore, ma anche quella di Paese guida, solido e affidabile), gli organismi internazionali di cui siamo membri (dall’ONU alla Nato), il sistema degli Stati con i quali intratteniamo consolidate relazioni internazionali, in particolare quelli mediterranei della sponda africana, gli italiani tutti che non saranno tenuti al laccio di false promesse e di falsificazioni della realtà.
Lo scenario
Contro questa lista i populisti, a dir loro, proporranno un programma campato in aria, sul presupposto, che mi sono sentito ripetere anche di recente, che i partiti in fase programmatica sono esonerati dal rispetto della Costituzione e, udite udite, della verità. Quali saranno i contenuti del bilancio dello Stato sui quali i cittadini si pronunceranno direttamente col loro voto (capiamo tutti che si tratta di un’ipotesi avanzatissima di congiunzione di democrazia diretta e democrazia rappresentativa, una sfida che dovrebbe “disseminarsi” tra le democrazie esistenti), può esser detto in questa sede riassuntivamente, sapendo ogni cittadino che fine faranno i propri soldi, conferiti allo Stato come imposte, tasse e tariffe. Sarà un bilancio dello Stato che metterà in campo il modello sociale italiano, compatibile col modello sociale europeo e con quello globale. Parafrasando grossolanamente Rashi, tutte le persone amministrate dal bilancio dello Stato italiano avranno tutte la stessa madre che li riconoscerà come uguali secondo Costituzione.
Sarà un bilancio che convincerà gli elettori della Lista Civica Nazionale a votarne i candidati perché risponderà, in piena trasparenza al quesito posto a tutti, credenti e non credenti dalla Laudato Sì, sul tipo di mondo (di Paese) che desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo, perché siano forti nella pace e nella giustizia. Un mondo, un bilancio, che salderà produzione e lavoro, equità e giustizia, conoscenza e libertà. Le risorse umane? Sono a disposizione.