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Il casus belli delle armi chimiche di Assad

Il conflitto siriano, nonostante le recenti e decisive battaglie vinte dal fronte governativo nelle aree suburbane di Damasco,Ā sembra riallinearsi ad un copione, purtroppo, giĆ  visto in piĆ¹ di una occasione. Il presunto utilizzo di armi chimiche da parte dellā€™esercito di Assad diventa motivo del riacutizzarsi delle tensioni tra quelle potenze che, dal 2011, pongono sullo scacchiere sirianoĀ un intricato sistema di interessi economici e politici. Lā€™ultimo attacco, in ordine cronologico, avvenutoĀ nellā€™area di DoumaĀ ha scatenato lā€™indignazione dellā€™opinione pubblica e della comunitĆ  internazionale; molti esponenti di spicco della politica mondiale (per ultimo anche il presidente franceseĀ Emmanuel Macron) appoggiano la linea dichiarata dal presidenteĀ Donald Trump. Il pensiero della comunitĆ  atlantica sembra essere chiaro e, piĆ¹ o meno, condiviso: rispondereĀ manu militariĀ agli attacchi dellā€™ ā€œanimaleā€ (cosƬ Donald Trump ha etichettato via Twitter il Presidente siriano)Ā AssadĀ e convincere (con le buone o con le cattive, ancora non si sa)Ā Russia e IranĀ a desistere dal continuare a spalleggiare un regime descritto a piĆ¹ riprese come sanguinoso, risoluto e tanto spietato da poter usare armi al cloro contro la sua stessa gente.

Come precedentemente detto, ad una analisi piĆ¹ attenta,Ā non ĆØ la prima volta che il conflitto siriano ci pone davanti questo schema: 1) le truppe di AssadĀ riconquistano porzioni di territorio strategicoĀ scacciando le milizie ribelli; 2) la comunitĆ  internazionale segnala lā€™utilizzo di armi chimiche nelle stesse aree liberate dalle truppe governative documentandoleĀ con materiale video girato da attivisti locali edĀ ongĀ che immediatamente diventa virale, rilanciato dai circuiti mediatici di tutto il mondo occidentale; 3)Ā lā€™Alleanza Atlantica decide di riacutizzare la presenza militare in Siria, magari organizzando un massiccio ma breve attacco contro alcuni obiettivi sensibili tramite il dispiegamento di mezzi aerei e navali, una reazione lampo senza apparenti risultati strategicamente significativi, ma molto ā€œad effettoā€ dal punto di vista mediatico.

Proprio un anno fa, dopo unĀ altro (mai comprovato)Ā attacco chimico da parte di Assad sui civili, Trump decise con una mossa lampo di bombardare con dei missili Tlam laĀ base aerea siriana di ShayratĀ da una nave militare dispiegata nel Mediterraneo. I missili andati a segnocolpirono hangar dismessi e dallo scarso valore strategico, mentre i restanti addirittura non colsero i bersagli puntati, intercettati dalla contraerea siriana. Questo strano e singolare episodio non smette di interrogare ancora oggi gli analisti: si trattĆ² diĀ una farsa artatamente creata per rabbonire i mediaĀ ed i membri delĀ Deep StateĀ piĆ¹ vogliosi di interventismo o il comparto tecnologico-militare statunitense ha deliberatamente mostrato delle falle molto preoccupanti?

Senza andare troppo indietro nel tempo e scomodare la guerra in Iraq del 2003Ā (dove gli Usa intervennero proprio in seguito alle ā€œproveā€ dellā€™esistenza degli arsenali chimici di Saddam),Ā la questione dellā€™utilizzo delle armi chimiche in zone di guerra sta diventando unĀ casus belliĀ sempre piĆ¹ frequente nellā€™area mediorientale. In queste ore di tensione, il segretario della Difesa americanoĀ Jim MattisĀ ha annunciato al Congresso che gli UsaĀ non sono ancora in possesso di prove certe per inchiodare Assad per lā€™uso di armi chimiche a Douma. Le uniche fonti che, per il momento, hanno dato notizia dellā€™attacco sono quelleĀ mediatiche e social. Nonostante ciĆ², Mattis ha ammesso che al momento gli Usa sarebbero pronti ad intervenire militarmente.

In realtĆ ,Ā un conflitto a bassissima intensitĆ  va in scena giĆ  da tempo nei cieli siriani: come affermato recentemente da quattro ufficiali statunitensi,Ā le forze russeĀ presenti in Siria sarebbero riuscite giĆ  a mandare in avaria i sistemi dei droni militari Usa tramite sofisticati dispositiviĀ jammer. Quello che, fino ad un mese fa, sembrava essere un conflitto in fase di conclusione,Ā sta per entrare nellā€™ennesima fase ā€œcaldaā€:Ā ĆØ sempre piĆ¹ evidente che gli Stati Uniti, nonostante il disimpegno espresso recentemente proprio da Trump, non possano permettersi di mollare la presa su unā€™area dagli interessi economici, strategici ed energetici fondamentali per lā€™assetto geopolitico futuro.

Giannicola Saldutti – ricercatore associato allā€™IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie)

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