Con il successo del Movimento 5 Stelle, confermato primo partito in Italia con circa il 32% dei voti, e l'ottima performance della Lega al 18%, il commento attualmente più in voga è che gli Italiani hanno premiato “le forze anti-sistema”. Si tratta di un'analisi solo in minima parte vera. La capacità comunicativa, il contatto con le masse e i giovani, un euroscetticismo marcato negli slogan anche se non sempre chiaro nelle proposte, la volontà di essere considerati “né di destra né di sinistra”: ecco i punti che Lega e 5stelle hanno in comune, ma che dietro la semplicistica etichetta di “populismo” nascondono differenze profonde.
Il M5S, nato come una sorta di evoluzione post-moderna e massificata del dipietrismo (tutto incentrato cioè sulla protesta contro la corruzione), si sta rivelando chiaramente una forza di sinistra. Ciò è dimostrato sia dal fatto che il suo bacino elettorale attinge ai delusi del PD e di LeU (entrambi usciti infatti disastrati dalle urne), sia soprattutto dal contenuto specifico delle proposte grilline. A Matteo Salvini va invece riconosciuto il merito storico di aver più che triplicato il consenso verso il proprio partito (dal 4% al 18%), e di averlo fatto avviando la transizione della Lega da realtà regionalista a partito con vocazione nazionale. Tale successo segna la fine del berlusconismo e consegna un importante capitale politico al nuovo leader del centrodestra. Molto lavoro resta però da fare – specie sul piano culturale e della classe dirigente – per completare la trasformazione della Lega in un partito nazionale, liberal-conservatore ma a tinte sociali, che guadagni più consensi al centro senza perderne a destra. E che soprattutto si radichi seriamente su tutto il territorio italiano.
Il M5S ha un programma economico molto a sinistra, dalla nazionalizzazione bancaria al reddito di cittadinanza passando per le suggestioni sulla decrescita, a cui Salvini contrappone un’agenda essenzialmente liberista, tra flat tax, de-burocratizzazione e stimolo al consumo per aumentare produttività e creare ricchezza. In tema di sicurezza, se la Lega e i suoi elettori predicano lotta senza quartiere all’immigrazione, respingimenti assistiti ed espulsioni, i 5stelle sono per l’abolizione del reato di clandestinità, molto ambigui sulla gestione dei flussi (tendendo più alla redistribuzione dei migranti che all’espulsione) e del tutto silenti sulla legittima difesa o sul radicalismo islamico. Sui temi etici, all’atmosfera gay-friendly e all’orgoglio di aver votato il biotestamento dei grillini si oppone il giuramento sul Vangelo di Matteo Salvini e la difesa di famiglia tradizionale e radici cristiane con sostegno a scuole paritarie e parentali. Mentre la Lega propone il ripristino della leva e una politica estera muscolare che non esclude l’uso della forza, l’antimilitarismo dei 5stelle si declina attraverso i tagli all’industria della difesa e il disimpegno dalle missioni internazionali.
Anche la geografia dei risultati, con il Sud bastione pentastellato e il Centro-Nord salviniano, dimostra che c’è sì una voglia comune di cambiamento, proveniente però da istanze e ambiti diversi: disoccupati da una parte e ceto medio e produttivo dall’altra, priorità a sussidi e trasparenza contro bisogno di sicurezza, identità e sviluppo. Per tutti questi motivi una alleanza tra Lega e M5S sarebbe innaturale: i due partiti sono in fondo rivali e rischierebbero di depotenziare la propria carica innovativa e i margini d’azione concreta nel venire a compromessi l’uno con l’altro. L’abolizione della legge Fornero è forse la grande tentazione per una sintesi politica, ma è un tema su cui i 5stelle sembrano più che altro aver inseguito Salvini e certamente non si può fondare tutto un accordo di legislatura su di esso.
Sul lungo periodo Lega e M5S possono disegnare un nuovo bipolarismo certamente salutare alla politica italiana. Sul breve periodo, le urne ci consegnano purtroppo uno scenario di instabilità, in cerca di un governo che per mancanza di numeri in ogni caso sarà impossibilitato a realizzare le impegnative promesse dei “vincitori mutilati” alle elezioni politiche 2018: la coalizione di centrodestra al 38%.
Dario Citati – Vice-Presidente dell'IsAG e Associato del Centro Machiavelli di Studi Politici e Strategici