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I quattro miti della riforma

Il 4 dicembre si vota. Non per il futuro di Renzi, Grillo o Berlusconi. Per il nostro. Dobbiamo scegliere tra una democrazia in cui comanda il Parlamento (popolo) e una in cui comanda il Governo (poteri). La differenza è sostanziale. Pensiamoci bene: indietro non si torna. Gli slogan della riforma sono quattro: velocità, risparmio, governabilità, stabilità. Slogan, appunto. La verità abita da tutt’altra parte.

1. Velocità non significa qualità. La pasta cruda è velocissima da servire, ma è immangiabile.
2. Risparmio? 300 milioni. Ridicolo. Se recuperassimo 1,5 dei 180 miliardi di evasione fiscale l’anno, Camera e Senato lavorerebbero gratis!
3. Governabilità significa “non disturbate il conducente”. Governabile, infatti, è chi si lascia governare. Possibilmente senza discutere. Docili e mansueti, come pecore condotte al pascolo dal cane pastore: così ci vogliono.
4. Stabilità: mito falso e pericoloso. I governi più stabili sono le dittature. È questo che vogliamo? Dimentichiamo gli slogan allora. E usiamo la testa. I nodi sono due: Italicum e Senato. Legge elettorale e riforma costituzionale, infatti, vanno sempre insieme. Perché la natura della democrazia dipende dal fatto che tutti i voti abbiano lo stesso peso. Con l’Italicum non è così. Il voto di alcuni pesa più di quello di altri. Immaginate Bepi e Rina. Al seggio il loro voto vale 1. Bepi vota A; Gina vota B. Il partito di Bepi raggiunge il 40% dei voti. Quello di Gina il 39%. Il primo ottiene il “premio di maggioranza”: 54% dei seggi. Il secondo no.

Dopo gli scrutini, dunque, quei due voti che – in cabina elettorale – avevano lo stesso peso, si trovano ad avere un peso molto diverso. Quello di Gina vale sempre 1. Quello di Bepi, invece, vale 1+n. Il suo partito, infatti, ottiene più seggi di quanti gliene spetterebbero in base al numero effettivo dei voti ricevuti. Due pesi e due misure, dunque. Vi sembra giusto? Chiedetelo a Gina. A voi stessi, invece, chiedete: “È questa la democrazia che voglio?”. Da questo voto distorto, nascerà il nuovo Parlamento. Distorto anche lui. Un seme malato non può dare frutti sani. Parlamento zoppo: una Camera e una parodia di Senato. Una sorta di doppio lavoro part-time per 100 persone (22 sindaci, 73 consiglieri regionali, 5 nominati dal Presidente della Repubblica), che si riuniranno una volta al mese, per affrontare un mare di problemi infinitamente più grandi di loro. Follia. Ma perché è così importante far fuori il Senato? Per eliminare il “ping-pong” del bicameralismo paritario, dicono. Fandonie.

Nel decennio 1997-2006 l’Italia ha approvato, in media, 153 leggi l’anno. Una ogni 2,3 giorni. Il triplo di Regno Unito (47) e Spagna (50); più del doppio della Francia (70). La ragione, dunque, è un’altra: indebolire il Parlamento. Perché? Perché più il Parlamento è debole, più il governo è forte. Anche la disonestà è una scusa. Dipende dalle persone, non dal loro numero. Sarebbe come dire che, per ridurre la disoccupazione giovanile, bisogna eliminare i ragazzi che cercano lavoro. Vogliamo un Parlamento onesto e capace? Eleggiamo persone con queste qualità: fine del problema. È questa l’unica vera riforma. Il resto sono specchietti per allodole.

Sino al voto del 4 dicembre Interris.it, senza prendere una posizione, ospiterà i sostenitori del “Sì” e del “No” al referendum, per consentire ai lettori di farsi liberamente una propria opinione a riguardo

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