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Herpes zoster o fuoco di Sant’Antonio: ecco cosa c’è da sapere

Si stima che una persona su dieci avrà almeno un episodio di herpes zoster in età adulta. Pur non essendo pericoloso per la vita, l’herpes zoster può essere molto doloroso. La vaccinazione riduce il rischio di svilupparlo mentre l’avvio della cura in tempi rapidi può accorciare i tempi dell’infezione e ridurre la possibilità che si verifichino complicazioni. E’ oggi più comunemente noto come fuoco di Sant’Antonio, è l’infezione da parte del virus varicella zoster (VZV) di uno o più nervi (generalmente uno solo). All’infezione, di solito, si associa una dolorosa eruzione cutanea che, nonostante possa manifestarsi in qualsiasi parte del corpo, compare più frequentemente su un solo lato del torace o dell’addome sotto forma di una singola striscia di vescicole.

Il VZV appartiene alla grande famiglia degli Herpes virus, ed è lo stesso che causa la varicella nei bambini. Il virus, infatti, dopo aver causato la varicella, rimane inattivo nel tessuto nervoso per poi risvegliarsi, a distanza di molti anni, sotto forma di fuoco di Sant’Antonio. L’herpes zoster è una malattia studiata e curata da secoli Celso, nel tentativo di sistematizzare in un corpus organico tutte le osservazioni disponibili, ammette, nel De arte medica, che si possa trattare di due lesioni distinte: l’una riconducibile all’herpes zoster e la seconda all’erisipela. Quella di Celso, riferita a due malattie, è l’interpretazione che oggi la medicina moderna conferisce al termine «fuoco di Sant’Antonio» ed è qui interessante ricordare che il termine anglosassone «St. Anthony’s fire» stia proprio ad identificare l’erisipela.

Quasi contemporaneamente con la traslazione delle spoglie di Sant’Antonio Abate dalla Terra Santa alla Francia, quindi nell’alto medio evo, si sviluppa a Parigi, nel 945, una grave forma di «ulcera corrosiva», definita anche come «peste di fuoco». Tale forma di incerta attribuzione patologica viene descritta nel 1089 da Sigiberto di Grenobloux. A testimonianza della difficoltà interpretativa del «fuoco di Sant’Antonio», in base ai canoni della medicina moderna, si possono ricordare: Henry de Mondeville, medico di Filippo il Bello nel 1320, che identifica questa malattia ad espressione ulcerativa con una forma a trasmissione sessuale, e Guy de Chauliac che identifica «l’estiomene» con il «fuoco di Sant’ Antonio», inteso come cancrena. Infine un’ultima interpretazione è quella che vuole che il «fuoco di Sant’Antonio» altro non sia che l’ergotismo cangrenoso.

Quest’ultima identificazione del «fuoco di Sant’Antonio» con l’ergotismo, credo meriti una considerazione più approfondita. Nel 1776 Jussieu, Saillant, Paulet e Tessier in un articolo apparso nel «Journal de l’Accademie Royale de Medicine», sposano questa ipotesi e affermano che il «fuoco di Sant’Antonio», altrimenti noto come «la Maladie des ardents» è provocata dall’ingestione di pane prodotto da farine provenienti dalla segala cornuta. Si tratterebbe pertanto, secondo la linea di pensiero espressa da quegli autori, di una vera e propria intossicazione alimentare. Oggi noi sappiamo che a provocare l’ergotismo sono alcuni alcaloidi come l’ergotamina prodotta dalla Claviceps purpurea, un fungo presente nella segala che produce vasospasmo a livello degli arti e che si estrinseca con un violento dolore (urente come il fuoco), a cui consegue la necrosi dell’arto. A questa sintomatologia si associano, spesso, allucinazioni che derivano anch’esse dall’intossicazione con l’ergotamina.

Non dimentichiamo che strettamente correlato all’ergotismo della storia è la più recente intossicazione da l.SD (dietilamide dell’acido lisergico), un allucinogeno il cui consumo ha rappresentato un fenomeno sociale tra i giovani negli anni Sessanta e ha influenzato alcune correnti musicali di quegli anni. E indubbio, quindi, che molte delle forme morbose interpretate nel passato come «fuoco di Sant’Antonio» siano riconducibili a intossicazione da ergotismo per uso di farine contaminate nella preparazione del pane. Trattandosi di un’intossicazione alimentare non stupisce poi il carattere di piccole «epidemie» che questa intossicazione poteva assumere: possiamo ricordare. a questo proposito, i casi di ergotismo occorsi a Milano nel 1795, a Torino nel 1798, in Russia nel 1926, in Irlanda nel 1925.

Inoltre, in molte abbazie dedicate al culto di Sant’ Antonio Abate o dove era attivo l’Ordine degli antoniani (che scompare nel 1775, fondendosi con l’Ordine di Malta), è interessante notare come, nella tradizione, riportata da quadri e illustrazioni e negli ex-voto, si faccia riferimento ad amputazioni e protesi di arti conseguenti al vasospasmo e alla necrosi, che certamente erano in non piccola misura causati dall’ergotismo. È altresì possibile l’esistenza di un gradiente geografico Nord-Sud, inteso come maggiore prevalenza di ergotismo nel primo e minore nel secondo, probabilmente legato a ragioni climatiche e di temperatura. che avevano influenza sulla diffusione della segala cornuta e sul suo potenziale consumo. Attualmente (e già da diverso tempo) è assai improbabile che il «fuoco di Sant’ Antonio» possa essere associato all’ergotismo: infatti quest’ultimo è praticamente scomparso a far corso dal XVII secolo: grazie ai cambiamenti climatici, alla conoscenza degli effetti che ha sul nostro organismo la segala cornuta e alla introduzione, dopo la scoperta del Nuovo mondo, di cibi alternativi, quali patate, mais, pomodori.

La malattia a cui oggi più di ogni altra si ci riferisce quando si parla di «fuoco di Sant’Antonio» è senz’altro l’herpes zoster. Questa malattia è causata dal virus della Varicella zoster ed è dovuta all’uscita dalla fase di latenza del virus stesso che, in età per solito giovanile, causa la Varicella. L’herpes zoster è, infatti, secondario alla riaccensione del virus, riaccensione che può derivare da una variazione in senso depressivo dell’immunità del soggetto, che avviene, ad esempio, in età avanzata, a causa dell’invecchiamento del sistema immunitario. L’herpes zoster si caratterizza un violento dolore che compare nella «zona» di innervazione del nervo: dolore, urente. come il fuoco (da qui «fuoco di Sant’Antonio»). Questo carattere di «zona» della malattia trova il corrispettivo nella lingua latina che fa riferimento a «cingulum», termine che viene ripreso dall’inglese «shingles». Possono, altresì, coesistere manifestazioni neurologiche.

C’è comunque un’altra malattia oltre all’herpes zoster, che classicamente, anche se con minor frequenza almeno in Italia, fa riferimento al «fuoco di Sant’Antonio», è l’erisipela: che si caratterizza, infatti, per una zona di arrossamento (come il fuoco) a livello cutaneo ed è causata dallo Streptococco ß-emolitico di gruppo A. Oggi questa malattia è rara, per la generale diminuzione delle streptococcie ed è perfettamente curabile e guaribile grazie alla terapia antibiotica, ma fino a non molti anni fa risultava spesso mortale, specie nei bambini e nelle persone anziane.

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