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Quella discesa degli indici di pratica sportiva che deve allarmare le autorità competenti

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Le imprese degli atleti azzurri alle Olimpiadi di Tokyo hanno esaltato gli italiani già inebriati dalla vittoria dell’Europeo di calcio. Il record di medaglie e le vittorie senza precedenti nell’atletica leggera hanno confermato l’immagine di un Italia che può ancora essere considerata una potenza mondiale dello sport. Il fatto che tutto questo arrivi dopo un anno e mezzo dall’inizio della più devastante pandemia contemporanea carica di maggiore significato i sacrifici, i gesti e le vittorie della spedizione italiana nel Sol levante.

Ad una prima analisi superficiale, potremmo dire quindi che malgrado tutto siamo una nazione votata allo sport. D’altra parte l’Italia tra gli anni Venti e i Sessanta del ‘900 è stata stabilmente nei primi 5 posti del medagliere. Spesso davanti a colossi come Unione Sovietica o Francia e Regno Unito che avevano imperi su cui non tramontava mai il sole (Miglior posizione: secondi dietro gli Usa a Los Angeles 1932). Dal 1968 in poi siamo stati comunque sempre nelle prime 10 posizioni con exploit importanti come Los Angeles 1984 (quinti) e Mosca 1980 (quinti).

Ma al di là delle glorie olimpiche è il caso di dire che non è tutto oro ciò che luccica. Se infatti da una parte possiamo fregiarci della luce profusa dai nostri campioni da primato dall’altra non possiamo ignorare le ombre che si sono addensate sulle attività sportive di base e l’attività motoria in genere. Le restrizioni imposte dalla pandemia hanno causato danni enormi tra una popolazione che, già prima del Covid 19, contava un 39,1% di sedentari che dichiaravano di non pratiche sport né alcun tipo di attività sportiva nel tempo libero.

Nel 2020 il calo della pratica sportiva ha riguardato anche i più giovani, secondo alcuni dati Istat tra gli 11 e i 14 anni siamo passati dal 56% di praticanti al 50%, i sedentari arrivano a toccare il 30% della popolazione giovanile tra i 18 e i 19 anni. A soffrire maggiormente è il Sud Italia, afflitto tra l’altro da una carenza cronica di strutture sportive pubbliche, con una conseguente restrizione all’accesso alla pratica sportiva da parte di tutte le classi sociali. Fatto sta che la principale causa della sedentarietà giovanile è la condizione economica del nucleo famigliare.

Alle carenze croniche del sistema italiano si è dunque aggiunta una pandemia che ha portato alla chiusura completa (applicata in maniera troppo indiscriminata) di palestre e strutture al chiuso, alla forte limitazione degli allenamenti anche in luoghi aperti e arieggiati (soprattutto per gli sport di squadra), all’interruzione di pratiche sportive non agonistiche, alla sospensione della quasi totalità dei campionati dei settori giovanili.

I giovani si sono ritrovati in una realtà emergenziale ed è stato chiesto loro di rinunciare allo sport in un momento fondamentale per la strutturazione della loro personalità e del loro equilibrio psicofisico. La discesa degli indici di pratica sportiva deve allarmare tutte le autorità competenti, dalle federazioni alle istituzioni politiche di ogni livello, dai comuni fino al governo delle nazione. Lo sport è infatti una risorsa inestimabile per il benessere di ogni persona, non solo in termini di prevenzione sanitaria ma soprattutto in ordine alla socializzazione, all’educazione e al rispetto della disciplina, della dignità altrui e del proprio corpo. Non è un caso se gli oratori organizzati dalla Chiesa italiana hanno sempre offerto strutture e iniziative sportive di ogni tipo, per avvicinare i giovani e prevenire tante devianze nelle aree più povere del nostro Paese.

I risultati di queste Olimpiadi di Tokyo siano quindi il carburante per far ripartire tutto il movimento sportivo italiano, senza rigide limitazioni che rischiano di fare più danni che benefici. Attingiamo alla lezione dell’Islanda, dove i record negativi di dipendenze hanno lasciato il posto a importati vittorie a seguito degli importati investimenti governativi. Iniziamo dalla ristrutturazione delle fatiscenti palestre scolastiche ma anche dando bonus alle tante famiglie disagiate che non possono pagare salatissime quote di iscrizione. I margini di crescita di tutto il movimento sportivo italiano sono quindi grandissimi e con potenziali benefici per tutta la popolazione.

Marco Guerra: