Opinione

Giornata Mondiale per l’Ambiente, il mondo del lavoro c’è

La siccità che sta colpendo da mesi diverse regioni del Sud e le drammatiche alluvioni del Centro Nord, che in questi giorni hanno provocato vittime e ingenti danni a campi, infrastrutture e centri abitati, mostrano ancora una volta due facce di una stessa medaglia, quella dei cambiamenti climatici e della conseguente urgenza di intervenire con strategie preventive di lungo corso.

Uno degli obiettivi principali per l’Italia è sicuramente quello di utilizzare al meglio i fondi del Pnrr per ammodernare le nostre infrastrutture idriche, in un Paese in cui viene captata soltanto l’11% dell’acqua piovana, dove quasi il 50% viene disperso a causa di reti vecchie e inefficienti, e dove il 18,4% della superficie nazionale è mappato dall’Ispra nelle classi a maggiore pericolosità per frane e alluvioni. Il tema della gestione delle risorse idriche è di quelli fondamentali per affrontare la transizione ecologica e mettere in sicurezza il territorio, con una visione di ampio raggio in cui un ruolo non secondario va riconosciuto anche alle nostre Tute Verdi: i lavoratori agroalimentari, forestali e dei consorzi di bonifica.

È per sensibilizzare la politica e le istituzioni verso questa prospettiva, per invertire il corso di quello che Papa Francesco ha definito, nell’Enciclica Laudato Sì, “il grande deterioramento della nostra Casa Comune”, che nell’ambito della nostra campagna “Fai bella l’Italia” ogni anno realizziamo la Giornata nazionale della Fai-Cisl per la Cura dell’Ambiente. Lo facciamo, non a caso, in concomitanza con il 5 giugno, Giornata Mondiale dell’Ambiente. Una ricorrenza istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1972 per valorizzare l’adozione, in quello stesso anno, della Dichiarazione di Stoccolma che definì i 26 principi sui diritti e le responsabilità dell’uomo in relazione all’ambiente.

Quest’anno la ricorrenza internazionale è dedicata al ripristino del territorio, alla desertificazione e alla resilienza alla siccità, con lo slogan “Our land. Our future. We are #GenerationRestoration”. La celebrazione di questa giornata serve a ricordarci che il compito del sindacato è anzitutto accompagnare il mondo del lavoro verso una transizione giusta, che non lasci indietro nessuno e trasformi in opportunità di crescita e occupazione le crisi indotte dai cambiamenti in corso.

La nostra Giornata per la Cura dell’Ambiente, che giunge quest’anno alla sesta edizione, richiama alle proprie responsabilità la politica, le istituzioni, le imprese, ma anche e soprattutto ciascuno di noi nella nostra vita quotidiana. Metteremo in campo dunque azioni simboliche ma anche molto concrete con cui puliremo spiagge, sponde dei fiumi, parchi pubblici, ripristineremo siti archeologici semi abbandonati, sentieri, svolgeremo convegni e riflessioni attorno ai temi che ci sono cari del lavoro forestale e dei consorzi di bonifica. Quest’anno gli eventi svolti su tutto il territorio nazionale saranno circa 30. In ogni regione saremo presenti per dare voce a un impegno civile e sociale che vede coinvolte istituzioni locali e regionali, scuole, famiglie, reti di associazioni. E ovviamente, laddove condiviso con le autorità locali, pianteremo anche alberi, in omaggio al lavoro forestale e a una battaglia fondamentale per la transizione ecologica, quella che gli scienziati individuano come “Carbon sink”, ossia la formazione di serbatoi di carbonio attraverso il verde che assorbe anidride carbonica e contribuisce a ridurre la Co2 e il riscaldamento climatico.

Il valore di questa giornata per noi sta in un pensare globale e agire localmente coerente con le altre battaglie della nostra Federazione per il lavoro dignitoso e di qualità, per la centralità della persona nel sistema contrattuale, per il contrasto al consumo di suolo e all’abbandono delle aree interne. Perché la sfida è quella di riqualificare il lavoro, rafforzare le componenti fragili del mercato del lavoro, come donne, migranti, giovani, costruire competenze rafforzando il rapporto tra scuola e imprese, migliorare le risposte da dare a un fabbisogno di manodopera emergente in più settori. È con questo approccio che avevamo sottoscritto da subito il Manifesto di Assisi per un’economia più a misura d’uomo contro la crisi climatica: una sinergia, con i promotori del Manifesto, le cui ragioni sono oggi più attuali che mai, e che adesso spetta alla politica mettere in atto.

Da questo punto di vista, arriviamo alle elezioni europee, oramai alle porte, con campagne assai vaghe, contraddittorie e poco entusiasmanti. Soprattutto sui temi ambientali. Basta vedere le polarizzazioni e i conflitti alimentati dai partiti italiani, tra chi etichetta il “Green Deal” come semplici “eco-follie” della cattiva Europa e chi vorrebbe rivedere diverse direttive senza mai dire come, con quali tempistiche, con quali risorse. Eppure parliamo di cose molto concrete per lavoratori e famiglie: energia, efficientamento degli edifici, auto elettriche, tanto per citare alcuni punti sui quali i partiti si contendono tanto elettorato. Spesso, purtroppo, anche favorendo approcci ideologici e fake news che avvelenano un’opinione pubblica già abbastanza disorientata.

Il tema è questo: anche la nostra organizzazione ha criticato, in più occasioni, alcune scelte compiute a Bruxelles. Ma lo abbiamo fatto sempre nelle sedi opportune, con i nostri strumenti, negoziando e dialogando con tutti gli attori. Dunque, anziché demonizzare l’Europa e ridicolizzare l’Unione, la politica dovrebbe occuparsi di portare più Italia nel Vecchio Continente. Ne gioverebbe l’Europa stessa, perché abbiamo tante buone pratiche da promuovere: basta pensare ai tanti primati italiani in materia di economia circolare, come certificano anche i recenti dossier Symbola. Questa ricchezza del nostro tessuto produttivo, queste posizioni conquistate con il grande impegno di imprenditori e lavoratori, non vanno sprecate, e per farlo dobbiamo favorire una politica europea più flessibile nel riconoscere le specificità dei singoli paesi, ma rigosa nel darsi obiettivi in linea con l’Agenda 2030 dell’Onu per lo Sviluppo Sostenibile.

L’Europa che serve, è quella di una governance più partecipata e con una maggiore dimensione sociale, come proposto anche dal Manifesto della Cisl “Insieme per un’Europa nuova”. E non il contrario. Perché la competizione sfrenata tra Paesi membri, e i rigurgiti nazionalisti, potranno soltanto indebolire il Vecchio Continente e la coesione sociale davanti alle grandi transizioni della nostra epoca.

Onofrio Rota

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