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Gaza-Israele, il conflitto sarà lungo e senza confini

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito a porte chiuse in una sessione d’emergenza nel contesto della guerra tra Israele e Gaza, ma non ha raggiunto l’unanimità necessaria per una dichiarazione congiunta. Né Israele né l’Autorità Palestinese (AP), trovano le parole giuste per mettere fine al conflitto che potrebbe cambiare il volto di tutto il Medio Oriente. I bambini palestinesi che difendevano il loro diritto di avere una patria gridando e tirando le pietre contro i soldati israeliani durante gli scontri dell’Intifada, sono cresciuti. Alcuni di loro, privati di strumenti educativi, sociali, culturali e di confronto democratico sono stati trascinati nella guerra perché finora non c’è stato un convincente piano internazionale, lontano dalla loro vita quotidiana. I fondi internazionali, spesso gestiti con ingerenza politica, devono essere investiti sui giovani per un percorso di dialogo tra i popoli.

Ora arriva la notizia che l’Ue vuole rivedere i suoi aiuti allo sviluppo a favore dei Palestinesi, dopo l’attacco di Hamas contro Israele, con grande sgomento di alcuni dei 27 Stati membri. Serve entrare in campo con una coscienza comune per evitare il peggio. L’autorità nazionale palestinese, celebrata da tutti, deve essere riconosciuta a livello internazionale e deve essergli permesso di prendere in mano la situazione. Ma “purtroppo, per alcuni politici e media internazionali la storia inizia quando vengono uccisi degli israeliani”, ha affermato l’ambasciatore palestinese Riyad Mansour invitando i diplomatici a concentrarsi sulla fine dell’occupazione israeliana. E’ il momento di cambiare rotta, fermare la guerra, persistendo su un percorso di pace in cui né i palestinesi né gli israeliani vengano uccisi.

L’ostinarsi con il processo di normalizzazione tra Israele e i Paesi Arabi è una scusa per giustificare la negligenza della classe politica internazionale, specialmente quella del Medio Oriente; come dire: vogliamo aprire un negozio di alta gioielleria in mezzo a un campo profughi. La verità è che questa area è sempre stata tenuta ai margini; nonostante diversi interventi governativi accompagnati da slogan di mediazione internazionali, non vedo nessun accordo di stabilità in vista per i territori appartenenti ai due popoli. I coloni ebrei e i Palestinesi di fatto, sono entrambi vittime di un piano gestito dal potere economico mondiale. La politica israeliana di insediamento dei coloni, oltre a risultare un fallimento, li utilizza come pedine da spostare a comando, senza tenere conto delle conseguenze socio-umanitarie e culturali che minano la stabilità regionale.

La proposta “due Stati per i due popoli”, accettata dall’Ap che porterebbe alla creazione di due Stati fa fatica a decollare. Esistono, tuttavia, numerose altre tipologie di accordo proposte da diversi attori internazionali che sono state messe sul tavolo della mediazione negli anni, ma nessuna di queste è riuscita a stabilire una vera tregua tra i due Stati in conflitto per i territori occupati; fino ad arrivare all’escalation militare di questi giorni. L’Europa è invitata oggi a partecipare e a sostenere ogni iniziativa, che consenta di giungere alla liberazione di tutti gli ostaggi, di evitare l’escalation militare, di proteggere le popolazioni civili di entrambe le parti e a mettere in campo ogni sforzo per ricostruire un processo di pace e riaffermare il diritto di Israele e Palestina alla coesistenza sulla base dello spirito e delle condizioni poste dagli accordi di Oslo per l’obiettivo “due popoli due Stati”. La Striscia di Gaza, che ospita circa 2 milioni di persone e misura circa 365 kmq, sta per essere rasa al suolo dall’esercito di Israele, che ha dichiarato lo stato di guerra e ha richiamato all’appello oltre 100mila riservisti.

Incredibile pensare che nessuno, tra le forze militari schierate al confine e l’intelligence israeliana, si sia accorto della grande offensiva lanciata il 7 ottobre da Hamas. Dove sono finiti gli storici “sensori” seminati nei territori occupati del West Bank, ma anche a Gaza? Dove sono finiti i prodotti super tecnologici che Israele ha venduto a tutto il mondo, decantandoli come migliori sistemi di difesa e intercettazione mai concepiti prima? Infatti, “Una guerra contro Israele potrebbe cominciare a settembre o ottobre 2023”, ha detto a fine agosto Yigal Carmon, esperto di antiterrorismo – citato da Adnkronos – e per anni consigliere dei premier israeliani Yitzhak Shamir e Yitzhak Rabin. Intanto, sono già previste commissioni d’inchiesta interne per stabilire come mai non abbia funzionato la rete di protezione e di sicurezza di Israele. Il fatto è che Netanyahu e i suoi ministri sono contestati anche dal suo esercito. In estate più di 1100 riservisti dell’aeronautica, tra cui oltre 400 piloti, hanno diffuso una lettera annunciando la sospensione della loro riserva volontaria e altri 10mila riservisti si sono dichiarati pronti a mettere giù le armi e a cambiare mestiere.

Oggi i morti sono oltre 1400, tra israeliani e palestinesi, un numero destinato a salire se ci sarà l’attacco via terra contro Gaza ad opera di Israele; tuttavia, rimane il dubbio sul possibile risultato prefissato. I razzi partiti da Israele hanno già colpito più di 500 obiettivi sensibili di Hamas, tagliando alla popolazione stanziata sul territorio tutti i rifornimenti di cibo, luce e carburante. Questo significa che gli ospedali pieni di feriti non sono in grado di operare i soccorsi, le case sono senza elettricità, le famiglie senza viveri. Alcuni dei prigionieri israeliani portati via dalle truppe di Hamas, e usati come scudi umani, sarebbero stati uccisi dagli stessi missili lanciati da Israele per rispondere all’attacco.

La mediazione diplomatica sembra una lontana chimera per ora, se Israele avanzerà anche da terra il conflitto sarà lungo e senza confini. La popolazione palestinese residente nella striscia di Gaza sarà martoriata e nessuno rimarrà a guardare; non per solidarietà verso Hamas, ma verso le centinaia di migliaia di vittime civili. L’Onu ha condannato Hamas per il suo massiccio attacco contro Israele, ma non all’unanimità. Interessante l’intervento di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati: “Necessario” stare dalla parte di israeliani e palestinesi, ha dichiarato ad Al Jazeera. Albanese ha messo in guardia da una “pericolosa” narrazione del conflitto tra Israele e Hamas che ignora la storia della violenza contro i palestinesi. Israele ha però ripetutamente respinto le critiche delle Nazioni Unite sulle condizioni dei territori palestinesi occupati. Non possiamo aspettare gli eroi per salvare la pace in Medio Oriente, perché questo conflitto, non è altro che il risultato di decenni di ingiustizie sociali e di una non oculata politica di mediazione, giusta o sbagliata che sia, ma che non ha mai avuto il consenso reale di entrambi i popoli.

Nizar Ramadan, direttore editoriale di kmetro0, periodico di attualità europeo

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