Fino agli anni ‘70 del 900, la disabilità era considerata prevalentemente in ambito clinico e pertanto, la prospettiva allora vigente, era di tipo esclusivamente sanitario e, di conseguenza, ridotto alla fruizione di alcuni servizi. A partire dagli anni ‘90 invece, con il varo della Legge 104 del 1992 e con l’arrivo di una nuova letteratura scientifica sancita dall’Oms che, nel 2001, ha definito la disabilità come “il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze i cui vive”, il paradigma è stato parzialmente cambiato e, con esso, le tipologie di intervento finalizzate a garantire l’inclusione delle persone con disabilità. Nel 2006 invece, con l’approvazione e la ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, è stato fatto un ulteriore passo avanti in quanto, è stata posta come fattore principale per giungere a una concreta inclusione, la partecipazione delle persone con disabilità ad ogni livello della vita sociale delle comunità, in condizione di assoluta parità.
Indubbiamente, ad oggi, molto è stato fatto su questo versante, ma tanto resta ancora da fare. Occorre l’impegno di tutti noi per garantire, in misura sempre maggiore, l’accessibilità e l’inclusione delle persone con disabilità a 360 gradi. Dobbiamo dare vita a un futuro sostenibile per ogni cittadino, indipendentemente dalle condizioni di salute particolari e, mettendo sempre al centro, il diritto all’autodeterminazione. Tutto ciò però, deve partire fin dall’infanzia, ovvero dalle famiglie e dalle scuole di ogni ordine e grado in cui, senza se e senza ma, devono essere garantiti i diritti sanciti dalla nostra Costituzione. Se tutti ci impegneremo senza riserve in questa direzione, diventeremo un Paese migliore e sempre più attento a coloro che vivono una condizione di fragilità.