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La famiglia cristiana

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Con un tempismo ottimale, che i più scaltri definiscono mediatico ma a me piace ritenere ispirato e definire, più appropriatamente sincronismo, in quanto coglie il senso del tempo, Papa Francesco ha annunciato l’Anno della Famiglia, con inizio dalla ricorrenza quinquennale della propria esortazione apostolica Amoris Laetitia, dedicato alla riflessione sulla bellezza e la gioia dell’amore familiare.

Il sincronismo sta nell’aver colto l’importanza di intervenire in questo preciso momento di massima concentrazione della vita familiare conseguente al forzato isolamento casalingo, che sta comportando il disgregarsi delle alternative che allontanano da questa. Si è detto da più parti che la compressione – pure da molti ritenuta ingiustificata ed apparentemente senza fine – dei diritti di libertà individuale sta determinando una rivitalizzazione dei momenti di ascolto individuale e familiare, obbligatoriamente assurti a teatro quotidiano della propria vita, dopo periodi di allontanamento per inseguire distrazioni elette a miti di realizzazione alternativa delle proprie voglie, mascherate da aspirazioni.

Questa purga forzata della inutilità e della vacuità, a cui sembravamo esserci abituati, ci sta costringendo a cercare nuove vie di realizzazione individuale per uscire dalla crisi, termine che deriva dal greco κρινῶ (krino), traducibile in separo, divido, e viene, quindi, equiparato ad opportunità poiché la separazione, la divisione determina una scelta conseguente ad una volontà. E questa opportunità è insita nelle nuove possibilità derivanti dalla costrizione casalinga: una vignetta circolante sui social dei primi giorni dell’isolamento raffigurava un giovane che si era accorto con stupore che nella sua casa vivevano altre persone affermando di essere la sua famiglia ma che non erano cattivi.

L’immediatezza della rappresentazione visiva coglie immediatamente il problema consistente nella assoluta ignoranza dei rapporti familiari vissuti negli ultimi anni specialmente dai giovani, riversati forzosamente direi, sulle strade della movida. Intendiamoci: i rapporti sociali, specialmente tra i giovani, sono indispensabili alla crescita ed insostituibili con nessun altro surrogato, pure oggi proposto con i social; ma l’abbandono continuo e costante delle proprie famiglie, fuori da ogni regola e da ogni criterio in assoluta libertà, ha determinato il peggioramento dell’individuo prima ancora che dell’ambiente in cui vive.

La famiglia rappresenta, prima ancora del centro dei propri affetti, un legame indispensabile alla sopravvivenza, all’interno del quale si apprendono le prime regole di comportamento e di condivisione, i primi limiti alle proprie voglie, i primi obblighi a contribuire al bene degli altri componenti e si comprendono le necessità reciproche sperimentando i concetti fondamentali di dare e ricevere aiuto; non è certo una gabbia, altrimenti lo sarebbe la palestra dove il giovane si allena, il circolo culturale che frequenta, il locale dove si trattiene con gli altri giacché in tutte queste situazioni emerge la necessità di regolare i rapporti secondo criteri predeterminati, esattamente come all’interno della famiglia. Ma quest’ultima non è solo l’una piuttosto che l’altro: è tutto insieme, palestra, circolo, locale, ma è ulteriormente condita con affetti, comprensioni ed aiuti, condivisioni ed opportunità, mezzi a disposizione e regole di comportamento apprese man mano, durante la crescita.

E non solo. La famiglia è la massima espressione dell’amore, tra due coniugi, estranei ed innamorati, verso i figli e verso i genitori ed i fratelli, verso tutti i componenti, assistita dal più efficace simbolo di autenticità: la gratuità. Nulla è dovuto all’interno della famiglia, solo l’amore ed il rispetto, l’aiuto e la comprensione. Non si paga la retta, non si affittano gli strumenti, non occorre la divisa, i costi dei consumi sono a carico di chi può sostenerli, per sé e per tutti i componenti.

Ma allora qual è il problema! Perché viene sistematicamente bersagliata in ogni modo da ogni forma di manifestazione di opposizione, venduta come tomba dell’amore della libertà e dell’espressione di se stessi, proposta come obiettivo da distruggere ad ogni costo, anche mediante sostituzione dei vocaboli ritenuti desueti, quali padre, madre, moglie, marito. Perché?

Perché è davvero l’unica cellula di libertà e di formazione autenticamente disinteressata, poiché è la sede della persona, impenetrabile dal messaggio veicolato ad assoggettare l’individuo

Roberto de Tilla: