Propongo alcune mie riflessioni rispetto all’evento drammatico del bambino suicida di Napoli, premettendo che non entrerò nel merito dell’episodio specifico, là dove le indagini sono ancora in corso e non ho una conoscenza della situazione particolare della famiglia e del giovane.
E’ bene innanzitutto tenere conto del periodo evolutivo puberale, pre-adolescenziale, nel poter dire qualcosa da una prospettiva psicologica, date le peculiarità di tale tempo dello sviluppo che segna l’uscita dall’infanzia e il graduale cammino verso l’adolescenza. Questo momento è caratterizzato da una forte emotività e carica pulsionale, a cui si accompagnano una particolare curiosità nello scoprire il mondo e una spinta a sfidare, a correre rischi.
Ragazzi e ragazze sono quindi più facilmente suggestionabili e condizionabili: il rischio implicito riguarda la maggior possibilità di essere oggetto di manipolazioni e abusi da parte soprattutto degli adulti e dei ragazzi più grandi. Inoltre, le risorse mentali e psichiche non sono così facilmente utilizzabili dal giovane per poter distinguere correttamente certe situazioni, o meglio, essi hanno ancora bisogno della presenza di un adulto disposto e in grado di interpretare e tradurre gli eventi reali, ciò che accade e li attrae. Soprattutto non va dimenticato che si tratta della generazione definita dei “nativi digitali”, quindi abituati ad una convivenza e confidenza con gli oggetti tecnologici e, da una certa età in poi, con i social e in generale il mondo online.
Mentre noi adulti ci siamo dovuti adattare a tali innovazioni tecnologiche, per loro si tratta del loro ambiente, dell’arredo quotidiano delle giornate. La fragile identità, perché non ancora ricostruita e in via di definizione, la tempesta interna ed emotiva legata al mondo pulsionale e la forte esigenza di entrare ed essere accettati nelle relazioni sociali, espone i pre-adolescenti a possibili rischi di vivere ingombri, malesseri, disagi psicologici, legati in particolare alla fatica di fare i conti con i vari compiti evolutivi.
A ciò si aggiunge la necessità di prendere più distanza dai genitori che, in questo periodo evolutivo, iniziano a non essere più così idealizzati come nell’infanzia. Se inizialmente padre e madre rappresentano per il bambino dei punti di riferimento simbolici, affettivi imprescindibili e confortanti, la graduale entrata nell’adolescenza evidenzia sempre più un cambio di orizzonte per i giovani, più propensi ad ascoltare e fare affidamento su figure esterne alla famiglia. Detto ciò e riflettendo sulla drammatica notizia, ritengo preziosa una considerazione del Dr. Pietro Verdelli, psicologo dell’Associazione Pollicino e Centro Crisi Genitori Onlus, di cui sono presidente. Verdelli evidenzia la necessità di prendere in considerazione tre figure importanti nella vicenda del bambino: “I media, che devono fornire un’informazione chiara, precisa, puntuale e non sensazionalistica; i genitori, che ancora di più oggi possono sentirsi soli rispetto al web e necessitano di poter individuare sia strategie etiche e rispettose di monitoraggio, sia adeguati strumenti di filtro (come il Parental Control); i minori, che rientrano propriamente nella categoria umana “in via di sviluppo” e che per questo motivo sono maggiormente vulnerabili, devono poter apprendere conoscenze adeguate per la navigazione in Internet”.
I così detti “siti esca”, i giochi online possono senz’altro celare il rischio di cadere nella trappola di manipolatori e abusanti, ma anche di promuovere atti emulativi, prodotti dall’effetto cascata indotto dai media e dai vari social e account. Infatti, come evidenza ancora Verdelli, sono anch’io restia a definire “Jonathan Galindo” un gioco, là dove giochi e videogiochi garantiscono due fondamentali esperienze che tale “Jonathan Galindo” invece oscura e cancella: svago e divertimento.
A quanto pare e come ricostruito dal CIPAP – Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze – si tratta di una storia horror di finzione, creata sul web che rischia, tuttavia, di essere trasformata (o essere stata trasformata) da utenti anonimi, manipolatori e abusanti, come successo per la Blue Whale Challenge. L’effetto di presa e di emulazione sul giovane, può creare dei fenomeni dissociativi, di sovrapposizione e confusione tra la realtà e la realtà virtuale, con i conseguenti disorientamenti e vissuti emotivi inquietanti, minacciosi e tuttavia capaci idi indurre ragazzini e ragazzine a sfide di coraggio, fino ad atti autolesionistici e al suicidio. Si tratta dunque di vere e proprie trappole che, ritengo, sarebbe più opportuno evitare di spettacolarizzare, alimentando attenzione e curiosità, poiché le modalità mediatiche sensazionalistiche, con cui sovente vengono veicolate tali notizie, rischiano di produrre un effetto paradossale e acuire l’interesse dei giovani verso tali account, siti, “giochi”. Come dire: all’elevata mediaticità può conseguire un’elevata curiosità.
Penso comunque alla responsabilità di noi adulti, genitori, insegnanti…sia nell’educare al senso del limite e della misura, sia nell’assumere con convinzione una posizione autorevole, severa, nel sorvegliare l’attività online dei giovani. Nel momento in cui un/a ragazzo/a passano del tempo chiusi in stanza davanti ad uno schermo e/o utilizzano con continuità gli oggetti tecnologici, sono necessari un monitoraggio e anche un dialogo con loro, oltre ovviamente ad un controllo. Non illudiamoci che, se stanno in casa, al chiuso delle loro stanze, quindi lontani dai rischi del mondo esterno, i giovani non corrano oggi seri pericoli nell’attrazione che il mondo web e gli oggetti tecnologici creano. E’ proprio a loro che “strizzano l’occhiolino!”