L’accettazione unanime, lo scorso 25 aprile, da parte del Consiglio di Amministrazione di Twitter alla proposta di acquisizione di Elon Musk, non mi ha affatto sorpreso. Al di là delle considerazioni relative alla cifra offerta, indubbiamente considerevole – si parla di 44 miliardi di dollari che, come molti dicono, avrebbero probabilmente convinto chiunque – non mi stupisce la voglia di ottenere il controllo di uno strumento di comunicazione da parte un imprenditore con la sua storia e la sua potenza di fuoco, che gli ha consentito di ottenere finanziamenti da Bank of America, Barclays, Morgan Stanley e altri investitori. La stessa cosa, infatti, è accaduta nella storia anche con i media tradizionali. Al di là dell’aspetto etico, e dell’inevitabile riflessione sulla configurazione di una possibile “oligarchia tecnologica”, in cui i social sono di fatto in mano a un ristretto numero proprietari, appare tuttavia inevitabile una riflessione sul possibile rischio di sicurezza che tale scenario paventa.
Entro l’anno l’acquisizione sarà completata, e sembra che l’intenzione del già CEO di SpaceX e di Tesla, sia di portare Twitter fuori dalla Borsa per farla tornare una società privata. Molti – tra cui tanti politici – si chiedono che cosa comporterà questo per il mondo dei social e per i suoi utenti.
La prima indicazione che ha dallo stesso Elon Musk, tramite i suoi post, è che Twitter dovrà essere “libero” per tutti (“Spero che anche i miei peggiori critici rimangano su Twitter, perché questo è ciò che significa libertà di parola”, ha twittato lo stesso 25 aprile), e che ognuno dovrà quindi essere libero di esprimersi con i 280 caratteri oggi consentiti. Con estrema semplificazione, sembra che dovremmo aspettarci un limite alla regolamentazione e ai filtri, in totale controtendenza con il Digital Services Act, proprio qualche giorno fa approvato dal Parlamento Europeo per tenere sotto controllo i contenuti illegali o che promuovono informazioni false. Dall’altro Musk si scaglia contro lo spam su Twitter e sulla necessità di combattere i bot, i programmi automatici che scrivono o ricondividono per portare traffico o visibilità a certi prodotti o servizi.
Ci si interroga quindi sui possibili conflitti di interesse, che inevitabilmente nascono dalla proprietà delle diverse aziende gestite dello stesso Musk e addirittura sulla possibilità di connivenze con alcuni governi, che chiederebbero alle aziende tecnologiche di conservare i dati relativi alle identità dei loro utenti (per esempio, gli indirizzi IP). Lo stesso Musk, ammettendo tra i propri obiettivi la totale trasparenza, ha fatto sorgere più di un interrogativo sugli accessi da parte dei governi ai dati degli utenti, già piuttosto frequenti anche negli Stati Uniti.
Uno dei timori da più parti evidenziato nei giorni scorsi, e in particolare dalla Electronic Frontier Foundation (EFF), è infatti l’attuale possibilità di un’invasione nella privacy degli utenti: ad oggi, infatti, Twitter consente agli utenti l’anonimato, ma sono accessibili indirizzi IP e i messaggi diretti – DM – poiché non protetti dalla crittografia end-to-end. Questo significa che le conversazioni private sono oggi potenzialmente accessibili, oltre che ai dipendenti dello stesso social network, anche ai cybercriminali.
Con un tweet nella giornata di giovedì 28 aprile, lo stesso Musk si è però appellato alla implementazione della crittografia end-to-end: “I messaggi diretti di Twitter dovrebbero avere la crittografia end-to-end come Signal, così che nessuno possa spiare o comprometterli”. “Voglio anche rendere Twitter migliore, con nuove funzionalità, rendendo gli algoritmi open source per aumentare la fiducia, sconfiggendo i bot spam e autenticando tutti gli esseri umani” ha twittato Musk. Si tratta di un’evoluzione? Restiamo in attesa.
Alessio Pennasilico del Comitato Scientifico CLUSIT