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Ecco perché i viaggi papali sono “Vangelo itinerante”

Tra i primi a intuire l’importanza di un apostolato globetrotter fu Piero Gheddo, protagonista per mezzo secolo dell’animazione pastorale del Pime (il Pontificio istituto missioni estere) e tra gli estensori di “Ad Gentes”, il decreto del Concilio Vaticano II sull’attivita missionaria della Chiesa. “Solo un Papa giramondo può portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra”, intuì padre Gheddo, grazie al quale nel 1973 l’Italia scopri per la prima volta una religiosa con il sari bianco bordato di azzurro che poi divento per tutti Madre Teresa di Calcutta. I viaggi di Karol Wojtyla incrociarono le frontiere ferite storico-sociali del suo tempo e la sua passione più grande restava l’annuncio del Vangelo.

Nell’insegnamento di Giovanni Paolo II il punto centrale fu sempre Cristo, “Dio fatto uomo per salvare tutti gli uomini”. Nella prima enciclica Redemptor Hominis, presento Cristo come “il centro del cosmo e della storia”, fondamento di ogni riflessione sulla Chiesa e sull’uomo. Nei suoi ventisette anni di pontificato, Karol Wojtyla ha fatto più di 200 viaggi a Roma e in Italia e 105 viaggi internazionali, visitando 136 paesi, in molti dei quali e tornato più volte: 9 volte in Polonia, 8 in Francia, 7 negli Stati Uniti, 5 in Spagna e Messico, 4 in Portogallo, Brasile e Svizzera. E’ andato in tutti i paesi che poteva visitare. Impossibile andare in Cina, Russia, Vietnam e in altri paesi comunisti, in Arabia, Afghanistan, Iran e altri islamici. Perché viaggiava tanto? Rispose all’enciclica Redemptoris Missio del 1990: “Già dall’inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più convinto dell’urgenza di tale attività”. Si è calcolato che Giovanni Paolo II ha trascorso nei viaggi circa due anni dei suoi ventisette di Pontificato. “Si diceva: viaggia troppo, spende troppo, fa troppi discorsi – osservò padre Gheddo –. Ma lo dice chi non ha visto da vicino cosa suscita una visita del Papa in termini di fede, di entusiasmo popolare, di speranza, di solidarietà fra gli uomini. Ho accompagnato il Papa in alcuni viaggi internazionali”.

Secondo padre Gheddo, Giovanni Paolo II era profondamente innamorato di Gesù Cristo, di cui parlava non in modo distaccato, quasi fosse solo una dottrina da trasmettere, ma come una persona viva che l’ha incontrato e di cui si è innamorato. “Egli esprimeva spesso con forza questa convinzione (che viene dall’esperienza): tu sei veramente uomo nella misura in cui ti lasci penetrare, coinvolgere, illuminare, cambiare dall’amore di Cristo”, sottolineo il missionario. Essere cristiani non è una somma di cose da fare o da non fare, ma amare e imitare Cristo. “In Lui, soltanto in Lui – disse Wojtyla ai cattolici tedeschi – noi siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitu alle potenze del peccato e della morte”. Il New York Times scrisse: “Quest’uomo ha un potere carismatico sconosciuto a tutti gli altri capi del mondo. E come se Cristo fosse tornato fra noi”. Era, secondo padre Gheddo, il più bell’elogio che si potesse fare del successore di Pietro.

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