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Ecco perchè Papa Francesco non poteva rinunciare a parlare di IA al G7

E’ un appuntamento decisivo quello del papa con i leader del G7. Le enormi opportunità e i rischi derivanti dallo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale sono noti anche a chi non sa o non capisce appieno di cosa si tratti. Le decisioni da prendere hanno rilievo per tutti e sono di rilevanza epocale. Basta aver letto quanto scrisse già anni fa Stephen Hawking: “A meno che non impariamo a prepararci ai suoi rischi potenziali, e a evitarli, l’IA potrebbe rivelarsi l’evento peggiore nella storia della nostra civiltà. Comporta pericoli come potenti armi autonome o nuovi modi forniti a pochi per opprimere tanti… o potrebbe mettersi per proprio conto e riprogettarsi a un ritmo sempre più veloce. Gli esseri umani, limitati dalla loro lenta evoluzione biologica, non potrebbero competere con essa e verrebbero travolti”.

Francesco sa perfettamente che i timori vanno sconfitti, in ogni caso indietro non si torna. Quindi il suo problema è quello di evangelizzare questo ambiente. Lo ha scritto benissimo nel 2020, su La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, oggi sottosegretario del Dicastero della cultura: “L’IA è sostanzialmente composta da singoli sistemi di progettazione, programmazione, raccolta ed elaborazione dei dati. Tutti processi fortemente condizionati dagli individui. Saranno la mentalità e le decisioni di costoro a determinare in quale misura, nel futuro, l’IA adotterà criteri etici adeguati e incentrati sull’uomo. Attualmente questi individui costituiscono una élite tecnica di programmatori e di esperti di dati, probabilmente composta da un numero di persone che si avvicina più alle centinaia di migliaia che ai milioni. Ora ai cristiani e alla Chiesa si apre una possibilità per la cultura dell’incontro, per mezzo della quale vivere e offrire un’autentica realizzazione personale a questa particolare comunità. Portare agli esperti di dati e agli ingegneri del software i valori del Vangelo e della profonda esperienza della Chiesa nell’etica e nella giustizia sociale è una benedizione per tutti, ed è anche il modo più plausibile per cambiare in meglio la cultura e la pratica dell’IA”.

Il tema è pratico, diciamo tecnico? No! E’ soprattutto etico e filosofico. Il punto di fondo, con molti altri connessi, è che rischiamo di credere che l’IA possegga la verità, dunque abbia lei la verità. La domanda “qual è la verità?” accompagna l’uomo e la sua intelligenza da sempre, ma oggi il timore che la verità esista e sia dominio e possesso degli algoritmi è evidente. Lo dimostra in questa società dei consumi tutto ciò che facciamo ogni giorno per regolarci in base ai nostri bisogni e alla necessità di soddisfarli nel modo migliore possibile. Dunque se l’IA “é” la verità, il nostro sistema educativo, la nostra formazione umana e culturale, cambia, inevitabilmente, come esistesse un unico pensiero valido e vero. Cambia poi anche la società. Molti lavori sono automatizzati, dunque molti lavoratori risultano inutili, i poveri sono esclusi dai benefici dell’IA, anzi, ne sono vittime.

Queste sfide di fondo ne contengono molte altre: non ci sono lavori che spariscono, ma anche armi che emergono, sistemi creati dall’uomo e che possono realizzare autonomamente e in pochi minuti ciò che il milite avrebbe bisogno di settimane per realizzare. Faccio un esempio. Io cerco un pericoloso nemico, il programma in base alle mie informazioni (il suo telefono cellulare ad esempio) lo individua nel momento in cui rientrando a casa mette in carica il suo portatile e lo elimina, insieme a tutti i suoi familiari, o ai suoi vicini. Ma chi sono io per non dare l’ok all’IA quando mi dice di averlo individuato? Chi sono io davanti alla “verità”?

Nel citato saggio sull’IA padre Spadaro ha scritto al riguardo del nostro rapporto con questa verità: “I motori di IA, protetti dalle norme sulla proprietà intellettuale e da dati di codifica e di riferimento non trasparenti, sono vere e proprie scatole nere che forniscono inferenze e previsioni non verificabili. ‘L’intelligenza artificiale ha la capacità di modellare le decisioni degli individui senza che questi nemmeno lo sappiano, dando a quanti hanno il controllo degli algoritmi un’abusiva posizione di potere’ (V.Eubanks). Dato questo suo processo decisionale complesso e opaco, si è instaurata, da parte di alcuni, la tendenza a vedere l’IA come qualcosa di indipendente dall’intervento umano riguardo alla costruzione, alla codifica, all’inserimento dei dati e alla loro interpretazione. Questo è un grave errore, perchè fraintende il vero ruolo dell’essere umano all’interno dell’algoritmo: egli deve necessariamente essere ritenuto responsabile del prodotto a cui approda il processo decisionale algoritmico. Eppure alcune applicazioni di apprendimento profondo stanno cominciando a insidiare i confini della responsabilità umana”.

Ovviamente i vantaggi che l’IA ci offre sono grandi quanto i rischi: sanità, ambiente, nuove opportunità lavorative, sono solo alcuni degli esempi più noti di quanto ampio e decisivo possa essere il contributo dell’IA al nostro futuro e al bene comune.

Ecco perché Francesco non poteva neanche pensare a non cogliere l’opportunità di rivolgersi ai Capi di Stato e di governo riuniti per il G7 per parlare loro della necessità di un governo etico dell’IA, risorsa alla quale non si si rinuncerà e che quindi va regolata, instradata in modo da renderla un servizio al bene comune e al progresso. Questo vuol dire non rifiutare i processi artificiali ritenendoli estranei all’umano, ma iscriverli in un orizzonte più ampio di significato, scongiurando l’egemonia tecnocratica e la deriva del pensiero unico. In modo molto soggettivo, proprio parlando di IA nel 2020, Francesco ha interpretato come ripulsa del pensiero unico lo stesso episodio della Torre di Babele, non punizione divina, ma al contrario ‘benedizione propositiva’. La linea era chiara dal febbraio 2020, dall’incontro con la Pontificia Accademia della Vita, quando invitò a “sviluppare una cultura che integrando le risorse della scienza e della tecnica, sia capace di riconoscere e promuovere l’umano nella sua specificità irripetibile”.

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