Nel suo ultimo report la fondazione Gimbe ha documentato quanto la pandemia sia ancora minacciosa, avvertendo che “fino a quando la circolazione del virus rimarrà così elevata, è un errore abolire l’obbligo di mascherina al chiuso“. Per due ragioni. Innanzitutto, “per l’elevatissima contagiosità della variante Omicron, e ancor più di Omicron 2. In secondo luogo, perché la protezione del vaccino nei confronti del contagio declina rapidamente“.
Il virus, dunque, resta una minaccia incombente a partire dalle sue specifiche manifestazioni cliniche. L’infezione asintomatica, infatti, è una caratteristica peculiare di COVID-19. Si stima che una percentuale variabile dal 30 al 40% dei soggetti colpiti da SARS-CoV-2 non manifesta sintomatologia clinica. Questa percentuale può essere anche superiore e secondo alcuni studi potrebbe oscillare tra 43 e 77%. Inoltre la percentuale di asintomatici può essere superiore nella popolazione giovane e anche tra le gravide osservate al momento del parto. Bisogna anche considerare che il termine “asintomatico” può essere variamente inteso, dal momento che questa condizione può rimanere tale per tutto l’arco della storia naturale dell’infezione, ovvero precedere la comparsa di sintomi più o meno gravi.
Inoltre, la condizione di asintomatico non esclude che possano coesistere alterazioni silenti di vari organi e apparati. Infatti, in una percentuale variabile dal 20 al 50% degli asintomatici, è stata evidenziatala presenza di alterazioni polmonari alla TC (Tomografia computerizzata) del torace con opacità e infiltrati ground glass. Nei soggetti asintomatici, si può inoltre manifestare transitoria febbricola, associata o meno a sintomi respiratori. Per le forme sintomatiche esiste un ampio spettro di manifestazioni che spazia da forme a bassa espressività clinica fino a forme gravi.
Secondo uno studio del Chinese Center for Disease Control and Prevention, condotto su quasi 45.000 pazienti affetti da COVID-19, la malattia in forma lieve si osserva nell’81% dei casi; in forma grave, con presenza di evidente interessamento polmonare nel 14% dei casi; in forma critica, con grave insufficienza respiratoria, shock, interessamento di molti organi, nel 5% dei casi. Uno studio dei CDC statunitensi condotto su 1.3000.000 casi, si sono osservati: 14% di ospedalizzazioni, 2% di ricoveri in terapia in- tensiva, 5% di letalità. Si sono osservate differenze di letalità a seconda delle diverse casistiche e, volendo paragonare la letalità di COVID-19 a quella dell’influenza stagionale, che pur nella diversità presenta alcuni aspetti comuni (trasmissione per via aerea, interessamento dell’apparato respiratorio, sintomatologia almeno all’esordio simile), la letalità per COVID-19 è più elevata, sebbene in una revisione a posteriori risulti più bassa di circa 6 volte rispetto a quella osservata nel corso della pandemia spagnola.
Esistono differenze nella letalità a seconda delle varianti del virus: Omicron è meno letale di quanto non sia stata Delta. Inoltre, si possono riscontrare, per quanto attiene alla letalità, differenze a seconda delle aree geografiche, il che potrebbe derivare da diversi fattori, quali l’età della popolazione colpita (più elevata è l’età, maggiore è la letalità), la qualità delle strutture sanitarie, l’accesso ad esse e, aspetto molto importante, la disponibilità di posti letto in terapia intensiva e sub-intensiva per il trattamento delle forme più gravi di malattia. Vale la pena anche ricordare che si è avuto, nel corso della pandemia, un eccesso di mortalità causata in forma indiretta da COVID-19 per altre malattie, a causa del ritardo o dell’esclusione dalle cure di pazienti con malattie tempo-dipendenti (per es. infarto del miocardio, ictus) o croniche (per esempio tumori, malattie ematologiche) correlati alla ridotta disponibilità di posti letto negli ospedali e nelle terapie intensive.