L’assistenza domiciliare non dovrebbe essere uno strumento uguale per tutti ma essere pensata e, di conseguenza diventare un servizio sartoriale, in altre parole, come un vestito su misura, si deve adattare alle necessità nonché ai bisogni della persona con disabilità e della rispettiva famiglia. Quindi non deve essere standardizzata, ma operare in base ai rispettivi bisogni, cosa che oggi non si verifica. Ciò non significa solamente sostenere e sopportare più che assistere la persona con disabilità, ma anche tutto il nucleo familiare perché a cascata, i caregiver familiari, sono coloro che si occupano quotidianamente dell’assistenza e, se essi non vengono adeguatamente supportati, non riescono a sostenere il loro congiunto.
Innanzitutto, per migliorare l’assistenza domiciliare, è necessario rendere omogeneo il servizio in tutto il territorio nazionale. Qualche anno fa, quando è stata fatta la riforma del Titolo V della Costituzione, è stata conferita la competenza esclusiva alle Regioni in materia di sanità. Questo purtroppo crea delle grandissime disparità, non soltanto in ambito sanitario, ma anche sociosanitario e sociale, ossia nei temi che riguardano anche l’assistenza domiciliare. Voglio sottolineare che erogare assistenza domiciliare non significa dare sostegno e supporto a un malato, ma vuol dire dare questo tipo di supporti a una persona con bisogni speciali diversi da chi non ha una patologia invalidante piuttosto che una disabilità. Alla luce di ciò, quindi, occorre uniformare i cosiddetti LEA, ossia i Livelli Minimi di Assistenza, ed anche i Livelli di Prestazione Essenziale affinché prevedano non solo una cura di tipo sanitario, ma anche una vera e propria cura di tipo sociale e sociosanitario perché, nella maggior parte dei casi, è ciò che serve alle persone con disabilità e alle rispettive famiglie.