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Don Tonino Bello: bell’esempio di sacerdote sul campo, con la mente e nei fatti

Nella giornata dell’Immacolata ho ricevuto una bella riflessione di don Tonino Bello che ha girato, come ormai usa, fra gli utenti telefonici tra le tante vignette ed i video, ironici più che allarmistici, di questa ormai vicenda epocale della stretta sanitaria. La riflessione si pone immediatamente all’opposto dell’abitudine, comune al tempo odierno, di accontentare entrambi i lati dello schieramento, definita politicamente corretta, forse dipendente dal non scontentare nessuno ed avere sempre una via di uscita. Prima si chiamava ipocrisia.

Il vescovo pugliese, emblema della difesa degli ultimi, pone l’attenzione alla parola di Luca 1,45 in cui la Vergine si presenta alla cugina Elisabetta, consapevole delle responsabilità cui è stata chiamata che, nonostante la sua giovanissima età, ha già chiara in sé la missione che le è stata annunciata: gratificare, servire, proteggere. E lo fa operando immediatamente una scelta di campo, rivoluzionando l’atteggiamento che fino ad allora aveva caratterizzato le religioni: non più violenza, vendetta, vittorie ma servizio, protezione, umiltà ponendosi dalla parte degli ultimi. Un cambiamento di prospettiva e di orizzonte su cui poggia tutta la religione cristiana, sin dal suo annuncio fondata sulla misericordia e sulla carità. C’è bisogno di una voce chiara e forte com’era quella del terziario francescano, noto per il suo carattere intransigente nei confronti di ogni intervento contrario alla diffusione della cultura della pace nel mondo ma di più per la sua netta posizione a favore dei poveri e degli ultimi, con un’innata avversione al potere: non volle mai il titolo di eccellenza, nonostante assurto alla presidenza della CEI, rimanendo per tutti don Tonino. Bell’esempio di sacerdote sul campo, con la mente e nei fatti.

E le sue parole, viaggiate nel giorno dedicato alla Vergine Immacolata, fanno riflettere vieppiù in questo periodo in cui i poveri e gli ultimi sono spaventosamente aumentati, in contrasto con le aspettative dei mercanti che continuano a propinare improbabili primati di vittoria e superiorità nel possesso di beni di consumo, ormai lontani anni luce anche dai desideri che oggi sono indirizzati verso la ripresa delle libertà personali, compromesse come sono da improvvide misure restrittive, incomprensibilmente irrigidite quasi al limite di impedire le celebrazioni liturgiche natalizie. Siamo passati, in un girar di boa, da un eccesso di libertà, al limite della tracotanza di imporre se stessi e le proprie improbabili pretese, ad una generalizzazione dei divieti finanche di respirare, apparentemente giustificati dalla necessità di contenimento di un virus che a molti continua a non essere chiaro, ma senza adeguate giustificazioni tanto da indurre il giudice amministrativo a chiedere contezza al governo delle ragioni dell’imposizione indiscriminata delle mascherine agli alunni delle scuole elementari.

Siamo diventati ultimi, singolarmente presi, ciascuno di noi; sembra che non abbiamo più voce, non possiamo esprimerci, non veniamo ascoltati. Sembra che si sia creata una frattura insormontabile tra i pochi che ci dicono cosa si deve fare ed i molti che sono tenuti all’osservanza obbligatoria. Eppure veniamo dalla cultura del dialogo, il nostro paese era all’avanguardia per il dibattito, per la comprensione delle esigenze di tutti, per la difesa dei diritti individuali e collettivi. Sembra che il virus abbia contagiato, in una spirale autoreferenziale, chi debba proteggere piuttosto che chi debba essere protetto; ed è un virus che per tanti anni tutte le forze democratiche hanno tenuto efficacemente a bada.

Non si può fare confusione, occorre che si abbia ben chiaro da che parte stare, come Maria protettrice degli ultimi tra cui ci stanno, forse inconsapevolmente, collocando.

 

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