I riti della Domenica delle Palme, che quest’anno cade il 24 marzo, aprono ufficialmente i giorni della Settimana Santa, risalgono a tempi remotissimi. Questo giorno è anche chiamato “Domenica della Passione del Signore”, in quanto dopo la benedizione dei ramoscelli d’ulivo o di palma, fuori della chiesa e la relativa processione, nel corso della celebrazione eucaristica viene letto, tratto dai Vangeli, il racconto della Passione, gli ultimi giorni della vita di Gesù, fino alla salita al Calvario e alla sua morte. Al termine della Messa, l’usanza vuole che i fedeli portino a casa i rami benedetti, che simboleggiano la pace.
Anticamente la benedizione degli ulivi avveniva presso l’arcibasilica di San Giovanni in Laterano; fu poi trasferita nella scomparsa chiesa di S. Maria in Turri, era una delle quattro chiese che si trovavano nell’atrio dell’antica basilica di S. Pietro, le altre erano S. Maria della Febbre, S. Apollinare a Palmata e San Vincenzo Hierusalem. Maria in Turri, era situata sotto il campanile di destra del tempio vaticano e nella quale i sovrani del Sacro Romano Impero, prestavano giuramento di fedeltà e ricevevano l’investitura a canonici. Dall’altare di questa chiesa, poi partiva la processione per raggiungere il trono papale in S. Pietro.
Tra i ricordi del passato, è singolare quello riferito dal cardinale Cencio Camerario, uno dei più illustri storici della città di Roma, e che poi divenne papa col nome di Onorio III (1216-1217). Egli narra un’antica usanza praticata nella stessa processione. Nel corteo, tra una quantità di palme, di ceri, di stendardi delle scuole e delle varie confraternite, veniva recata una bara contenente il testo dei quattro Vangeli.
L’insolito e a modo suo caratteristico feretro, tutto addobbato e ornato con fregi e decorazioni, stava a significare che la Parola di Gesù Cristo, tramandata agli uomini di ogni tempo dagli evangelisti, sebbene umiliata dal supplizio del Calvario, era pronta a risorgere.
Nella commemorazione dell’ingresso del Signore a Gerusalemme, la palma viene sostituita spesso dai rami di ulivo, nonostante essi non siano nominati nel racconto evangelico. In effetti, potevano essere anche rami d’ulivo, il quale come si ricorda già nell’Antico Testamento, erano associati alla Pasqua, nell’episodio della colomba che aveva portato a Noè il ramo d’ulivo, dopo il Diluvio Universale, come testimonianza della vita, che rinasceva sulla terra, come pegno della riconciliazione fra il Signore e gli uomini, e dunque profeticamente simbolo della futura venuta del Cristo.
L’origine ancora più antica, di questa domenica, si ricollega alla “Festa delle Capanne”, un pellegrinaggio del popolo d’Israele verso Gerusalemme, e gli ebrei salivano al Tempio, ciascuno portava in mano il “lulav“, un mazzetto composto dai rami della palma, simbolo della fede, dal mirto che simboleggiava la preghiera, dal salice, la cui forma particolare delle sue foglie, indicava il silenzio da osservare di fronte a Dio, legati insieme con un filo d’erba, al centro di questo mazzetto c’era una specie di cedro, com’è raccontato nel libro del Levitico.
Il Levitico o Terzo libro di Mosè, lo troviamo nella Torah ebraica e nella nostra Bibbia, esso è composto da 27 capitoli, pieno di leggi religiose e sociali, per i sacerdoti e i leviti, che secondo la tradizione lo stesso Mosè diede agli Ebrei, durante il soggiorno nel deserto del Sinai, nel 1200 a. C.