Nel 1950, Marshall usa il termine in un’analisi sulla disuguaglianza di classe e sostiene che “divenire eguali significa divenire cittadini”. Nel corso della storia il termine cittadinanza ha trovato diversi impieghi: da indicatore della ripartizione dei poteri e delle risorse nell’ambito di un ordinamento, e rapporto tra individuo e ordine politico, a strumento della partecipazione attiva del soggetto alla sfera pubblica e intersezione tra individuo e collettività.
In senso sociologico, la cittadinanza assume una valenza più ampia, e si riferisce al senso d’identità e di appartenenza degli individui ad una determinata comunità politica. E in questo senso vanno ricostruite le radici di questa relazione, di questo legame tra la cittadinanza, i cittadini, e lo Stato, la comunità politica e sociale di riferimento, in questa fase di profonde trasformazioni. Al momento, si assiste alla costruzione di un modello di coinvolgimento sociale dell’individuo, venendo meno il modello di statocentrico imperniato sul vincolo verticale dell’appartenenza statale. La concezione della cittadinanza, la natura e la funzione della partecipazione, nel contesto pluralistico contemporaneo, acquistano un significato ancora diverso, collegandosi in modo diretto ed inestricabile con la sostanza della democrazia. Le nozioni di cittadino e di cittadinanza divengono univoche, in un regime democratico, e i legami sottostanti diventano la base del patto sociale sul quale si fonda il vincolo di accettazione di regole liberamente condivise.
Nel suo significato attuale, la cittadinanza è il collettore equilibrante dell’eguaglianza sostanziale della molteplicità di diritti e doveri riferibili all’individuo in quanto parte attiva di una determinata realtà giuridico-sociale. In questo senso, si assiste, in virtù della sussidiarietà orizzontale, al passaggio da una cittadinanza legale, o cittadinanza formale, ad una cittadinanza amministrativa, o cittadinanza sostanziale, attiva e partecipativa