Abbiamo parlato di fede e di speranza ma la più grande di tutte è la carità (1Co. 13,13): il capitolo della lettera paolina da cui abbiamo tratto la citazione è incentrato sulle qualità di questa terza tra le virtù che la Chiesa definisce teologali, in quanto ci parlano direttamente di Dio da cui sono infuse nell’uomo.
Se la fede è pensiero e la speranza è sentimento, la carità è azione come chiarisce il nuovo comandamento posto direttamente da Gesù, presente in tutti i vangeli ma che preferiamo richiamare nella versione giovannea questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati (Gv. 15,12) in cui è resa esplicita la novità del messaggio cristiano che racchiude in questo l’intero insegnamento, laddove i vangeli sinottici (Mt. 22,39 Mc. 12,31 Lc. 10,27) proseguono la tradizione vetero testamentaria (Lv. 19,18).
Tutta la dottrina di Cristo ruota attorno al sentimento dell’amore gratuito, profondo e sincero, verso il mondo, la natura e, segnatamente, gli altri: questi, che vengono visti come estranei a sé, come limitazione di sé, come ostacolo per sé, sono l’unica possibilità concreta di realizzazione del sé. Si può vivere per gli altri o con gli altri ma non è possibile vivere senza gli altri, dal più vicino al più lontano, nell’indifferenza tra gli altri poiché mancherebbe ogni possibilità di essere (Dasein), ontologicamente seguendo i passi di Heidegger nel superamento della metafisica poiché l’essenza dell’Esserci consiste nella sua esistenza (Essere e Tempo, I, 9, 1) ed oggi anche scientificamente per le conquiste della fisica quantistica.
Non solo quale futuro dell’Uomo, ma quale passato e quale presente in mancanza della sua relazione amorosa con gli altri. La storia dell’umanità è storia dell’amore delle persone, dei popoli, delle nazioni dove si è espresso e dove è mancato, nelle grandi coesioni e scoperte che hanno valorizzato il mondo e nelle tragedie della sua assenza che lo hanno ferito. È la storia di Tannhäuser, che abbiamo simbolicamente scelto per la sua straordinaria sintesi evocativa della futilità dell’amore profano presso il monte di Venere, da cui fugge perché accanto a te posso solo diventare uno schiavo; libertà soltanto io bramo, libertà, libertà m’asseta e segue il coro dei pellegrini poiché vidi svanire la mia salvezza, mi abbandona la pietà del cielo. E Wagner evoca Elisabetta, poi proclamata santa d’Ungheria per le sue costanti opere caritatevoli nel breve arco della sua intensa vita, che lo salva implorando il Dio di grazia e di pietà, affinché a lui che sì gravemente peccò perdona la colpa dei peccati! ed offre in dono la propria vita per la sua salvezza.
Cos’è che rende straordinaria la carità come ha illuminato San Paolo: questa sua immensa forza contrastante con l’istinto biologico di conservazione, con l’egoismo della propria soddisfazione, che non può risiedere che nel profondo dell’anima e che non si esterna in un gesto eroico di un momento ma si esprime costante, come impronta della vita volutamente scelta a servizio degli altri o nella miriade di gesti quotidiani rivolti all’attenzione degli altri che ne hanno bisogno, donando loro ciò che si ha e condividendo quello che si possiede con chi ne è privo. È agire, esserci. È il significato dell’esistenza, è l’espressione dell’amore, filiale parentale fraterno o amicale che sia, o finanche estraneo, verso il povero o il bisognoso, verso gli infermi, i meno fortunati, i deboli, gli sciagurati, accantonando ogni velleità di giudizio o di ricompensa ma gratuitamente, come gratuitamente avete ricevuto (Mt. 10,8).
Benedetto XVI ha chiarito il significato della carità che si esprime nella verità, luce che dà senso e valore alla carità, ne mostra il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo ... preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti (Cv, 3): non vuota emotività ma consapevole donazione di sé.