Siamo arrivati al dunque, dopo mesi e mesi di tira e molla è stata messa sul piatto una riapertura graduale del Paese.
Diciamo subito che la notizia è piuttosto divisiva, sotto ogni aspetto.
Negli ultimi giorni si è assistito a dichiarazioni completamente opposte da parte di alcuni commentatori che, nel corso dei mesi sono divenuti celebri per la continua presenza sui media.
Se da un lato si dice che la decisione di riaprire il Paese sia prematura, arrivando addirittura a dichiarare che “Il premier Draghi sul Covid non ne ha azzeccata una”, dall’altra si è oltre a criticare pesantemente i “chiusuristi” anche da parte di personalità più caute si è arrivati ad ammettere che sia giunto il momento di andare oltre lo stato emergenziale.
Non è una questione meramente medica o di prevenzione ma di sostenibilità.
Sono mesi che molti invocano la riapertura delle attività, pur indicando che sia necessario mantenere ancora dei prudenti protocolli di sicurezza, non solo per degli ideali principi di libertà, come si legge spesso nei post più critici sui social, ma perché l’Italia difficilmente potrebbe resistere ad altri mesi di chiusura a singhiozzo o totale per alcuni settori che da un anno o quasi hanno le serrande abbassate.
Qualcuno ha parlato di ristori, cosa che fu il ritornello continuamente ripetuto dal precedente governo, così come dell’arrivo salvifico di oltre 200 miliardi di euro dall’Europa con il programma Next Generation EU ma c’è qualcosa che stona in questo ragionamento.
La prima cosa è che non è possibile vivere di sussidi, le risorse sono scarse e non è possibile pagare una popolazione intera per stare a casa così a lungo.
Più volte si è scritto su queste pagine che la situazione finanziaria italiana non sia buona, con un debito pubblico in perenne ascesa e fuori controllo da più di due anni. Ben prima che iniziasse la pandemia, tra l’altro, per via di certe azioni, che non faccio fatica a definire elettoralistiche, dei precedenti esecutivi Conte e un sistema economico che non cresce più, in termini reali, da quasi 20 anni tanto che, per non dover tagliare la spesa pubblica (anche se in presenza di sprechi accertati per circa 200 miliardi all’anno), oltre ad accrescere l’indebitamento si è ricorsi alla crescita della tassazione arrivando a quote tra le più alte in tutto l’occidente.
Qualcuno recentemente ha dichiarato che “Non si muore solo di coronavirus”, riferendosi ovviamente all’aspetto economico, all’impoverimento del paese che porterebbe in breve tempo non solo alla perdita di competitività e di reddito, ma al calo delle risorse per il sostentamento anche del settore sanitario e dell’assistenza in generale.
Non iniziare a riaprire, ora, con l’avvio della campagna vaccinale e con l’arrivo dei primi farmaci veramente efficaci per la cura dell’infezione da SARS-COV-2, sarebbe un azzardo che potrebbe essere fatale per l’intero sistema economico e per la tenuta, conseguente, dello stesso tessuto sociale.
La gestione dell’emergenza nell’ultimo anno è stata, diciamo, opinabile poiché si è basata prevalentemente su decisioni senza alcuna visione né programmazione, spesso prese all’ultimo secondo come la tragicomica chiusura degli impianti sciistici decretata a 12 ore dall’avvio della stagione. Chiusura che non ha risparmiato il triste primato italiano di contagi e morti per Covid 19 e spinto il crollo del PIL nazionale, del reddito dei cittadini e, conseguentemente, del gettito fiscale.
Con il cosiddetto Decreto Riaperture, finalmente, si avvia un percorso pianificato per il ritorno alla normalità prepandemia e, si spera, anche di un vero miglioramento delle aspettative che permetta una ripresa sostenuta.
Quindi come abbiamo visto dal 26 aprile sono riapparse le “zone gialle” e ha ripreso la mobilità tra queste regioni, ristoranti e bar hanno potuto riaprire anche la sera seppur solo all’aperto così come gli spettacoli anche se le due imposizioni meramente ideologiche, la chiusura dei negozi nei centri commerciali il fine settimana e il “coprifuoco”, restano ancora e inspiegabilmente inalterate anche nelle regioni gialle.
Fortunatamente, da questo punto di vista, nel governo ha preso piede la linea “aperturista” ed è stato fissato un punto di riesame coincidente con la seconda fase delle riaperture, il 15 maggio, che dovrebbe ritardare l’orario del divieto di circolazione per poi eliminarlo, dati epidemiologici e vaccinali permettendo con la fine di giugno.
Seppur qualcuno continui a fare la Cassandra, evidentemente perché ancora non ha capito che il crollo del sistema economico potrebbe portare, in prospettiva, ad avere danni ancor maggiori rispetto a quelli del morbo che sta infestando il mondo da quasi un anno e mezzo, il percorso indicato è, finalmente, credibile e potrebbe essere il punto di svolta nella gestione della crisi innescata dal virus.
Mentre il Regno Unito dichiara che la pandemia sia finita, merito anche dell’efficiente campagna vaccinale condotta in terra d’Albione, un flebile raggio di sole si intravede anche in Italia che, domani, dovrà fare i conti con la più drammatica crisi economica dal dopoguerra. Ma che con aspettative più rosee e anche con la spinta del programma NGEU potrebbe superare anche in maniera più che brillante. Tutto dipenderà, ovviamente, da tutta la popolazione e dalla sua capacità di reazione, cosa che si vedrà già nei prossimi mesi.