Uomini che diventano mostri spietati, arrivando ad assassinare lucidamente persino il sangue del loro sangue pur di punire le donne che si erano scelti e che, ad un certo punto (e per ottime ragioni evidentemente), non li hanno più voluti e hanno ‘osato’ abbandonarli.
Omicidio-suicidio a Rivara
E’ quello che ho pensato leggendo della terribile tragedia di Rivara, dove un undicenne – Andrea – è stato ucciso con un colpo di pistola dal padre nella notte tra domenica e lunedì scorso nella loro abitazione in provincia di Torino. L’uomo, Claudio Baima Poma di 47 anni, si è poi suicidato.
Baima Poma, che era separato da quasi due anni e con problemi di salute, ha scritto un ultimo delirante post sul proprio profilo Fb spiegando le motivazioni del duplice gesto estremo. Nel testo, l’operaio punta il dito sostanzialmente contro la moglie “rea”, a suo dire, di non averlo compreso nella sua sofferenza. In un passaggio, scrive: “D’ora in poi Iris potrai goderti la tua vita in solitaria come hai sempre voluto fare”. Di lì a poco avrebbe sparato al figlio undicenne e a se stesso.
Sete di controllo
Anche questa volta, la donna si è rifiutata di accondiscendere alla sete di controllo di un uomo, il padre di suo figlio, e lui ha pensato bene di punirla nella maniera più terribile, trasferendo tutto il suo odio su un ragazzino inerme.
Non è il primo caso, purtroppo. Padri che poi, per sottrarsi alle conseguenze di quanto commesso, decidono anche di togliersi la vita con il preciso obiettivo di non permettere a nessuno di mettere in discussione la loro decisione. Perché devono avere l’ultima parola su tutto, anche in questo ultimo, terribile, frangente.
I precedenti
Cambiano i nomi, cambiano i volti ma il copione sembra essere sempre lo stesso. Del resto, non si tratta certo del primo caso di padri che si rendono responsabili di simili atrocità.
Oggi abbiamo ancora negli occhi i visi delle gemelline svizzere Alessia e Livia Schepp, fatte sparire per sempre dal padre, quel Matthias Schepp morto suicida alla stazione di Cerignola, nel febbraio 2011 per desiderio di vendetta nei confronti della moglie che aveva deciso di lasciarlo e di sottrarsi al suo spietato controllo.
Alla mamma delle bimbe, Irina Lucidi, il marito non ha permesso neppure di ritrovare i corpicini delle due figlie, imprigionandola in un limbo di angosciosa attesa progettato lucidamente per non lasciarla fuggire mai più. Una storia talmente tremenda da riuscire a mettere in secondo piano la straordinaria ferocia che travolse senza pietà altre tre vite innocenti, proprio nel nostro Paese.
Personalità narcisistica
Le basi psicologiche che permettono a tali personalità devianti di commettere atrocità simili, anche nei confronti delle persone più importanti come i figli, sono ormai ben note in criminologia.
Non si tratta di pazzia, infatti. Ma di una personalità narcisistica che ha visto nella fine della relazione una intollerabile lesione alla propria capacità di controllo. Quest’uomo non era in grado di rinunciare alla sua ex moglie.
Inoltre, ha evidentemente recepito suo figlio come una sua proprietà. L’aspetto depressivo ha completato il quadro: si è convinto che uccidere il figlio e togliersi la vita fosse l’unico modo per sottrarsi alla sofferenza di questa relazione.
Suicidio allargato
Un mix pericolosissimo che è la condizione che porta questi tipi di soggetti a commettere atti di tale gravità e a commettere quello che in gergo tecnico viene definito un ‘suicidio allargato‘.
Come avvenuto a Rivara. Un soggetto in fase depressiva che, pur mantenendo una certa lucidità, ritiene di non essere in grado di affrontare la situazione che si è venuta a generare. E che, nello stesso tempo, nutre sentimenti di vendetta nei confronti della persona che, a suo dire, è la responsabile della catastrofe, cioè la ex compagna.
Alle personalità patologiche ho anche dedicato i miei due ultimi libri: “Io non ci sto più. Consigli pratici per riconoscere un manipolatore affettivo e liberarsene” (De Agostini, 2018) e “Manuale di Criminologia dei Sex Offender“, curato da me e dal Dr. Alberto Caputo (Giuffrè Francis Lefebvre, 2019).
Il mio prossimo libro in uscita a ottobre per De Agostini – come anticipato proprio su In Terris lo scorso 16 agosto, quando venni intervistata dalla giornalista Milena Castigli in merito alla terribile storia di Gioele – si intitolerà “Favole da incubo. Dieci più una storie di uomini che uccidono le donne da raccontare per impedire che succeda ancora”.
L’ho scritto insieme alla dottoressa Emanuela Valente con il preciso intento di spiegare il percorso psicologico che ha portato al triste epilogo. Sono storie al contempo molto toccanti e molto esplicative dell’ambiente in cui certe dinamiche nascono e si sviluppano.
L’obiettivo è quello di fare prevenzione: conoscere e riconoscere i segnali che potrebbero scatenare la follia – anche omicida – del partner. Una situazione sin troppo frequente, come la storia di Andrea (e di tanti innocenti prima di lui) ci insegna.
*Roberta Bruzzone, criminologa investigativa e psicologa forense