Da docente di Lettere non mi permetto di intervenire pubblicamente su questioni mediche, poiché non è il mio campo e in queste pagine non l’ho mai fatto; posso, però, scrivere di scuola in tempo di pandemia così come sulla didattica in presenza e a distanza. C’è, in questi giorni, un punto che unisce i due ambiti ed è quello del collasso delle strutture ospedaliere, che è sempre stato il motivo per cui le restrizioni prima e poi i vaccini sono stati (e sono fondamentali) al fine dell’alleggerimento dei reparti.
Dunque, se più di uno tra sindaci, politici vari, direttori di nosocomi, dirigenti scolastici, sindacalisti hanno invocato la riapertura della scuola in Dad, l’unico motivo è stato quello di non peggiorare la situazione, e tutto il resto non c’entra nulla, compreso scaricare la colpa sugli insegnanti che lavorano sia che si trovino in presenza sia dietro uno schermo. Questo è stato dimostrato dagli ultimi due anni, non dovunque allo stesso modo, è vero, ma le differenze ci sono sempre state e dire che la causa è la Dad vuol dire nascondersi dietro un dito. Basta guardare i risultati dell’Invalsi degli anni precedenti alla pandemia, nonché tutto il dibattito conseguente, per scoprire che la situazione non era migliore.
Sono dunque a favore della Dad? Sì, nell’emergenza, in un periodo difficile per i motivi suddetti, per poi rientrare in presenza prima possibile. Certo, una Dad fatta bene, valorizzando il meglio che abbiamo già sperimentato, trovando strategie nuove dove necessario; cosa che non è diversa dalla scuola in presenza, visto che al contrario si può essere tutti insieme fisicamente in un’aula senza far nulla comunque.
Tre sono i veri problemi da risolvere relativi alla didattica a distanza: le famiglie con figli piccoli ed entrambi i genitori che lavorano; le famiglie in difficoltà economiche, con limiti alla connessione, con più figli da far collegare con un solo device; non sacrificare gli studenti con disabilità. Questioni che hanno bisogno di scelte politiche ed economiche coraggiose, di essere considerate prima che sorgano, di avere una risposta concreta al di là della pandemia. Infatti, se non fossimo in mezzo a questa tempesta, non sarebbero meno gravi, poiché la scuola non deve essere un parcheggio, perché non si può accettare che nell’era di internet ci siano degli analfabeti digitali o senza gli strumenti per stare al passo con gli altri, affinché essere disabile non sia un ostacolo alla crescita culturale e alla relazionalità. La vera disuguaglianza non la crea la Dad, c’è già e da tempo, ed è grave che se ne parli a livello governativo solo ora! Detto questo, nel momento più alto della curva pandemica, chi vorrebbe avere figli contagiati che comunque finirebbero dietro uno schermo a far scuola? E, per esperienza diretta, meglio tutta la classe in Dad che uno o alcuni studenti solamente, sia per la didattica che per la dimensione relazionale.
E per chi ancora dubita, pur evidenziando la sicurezza degli istituti scolastici grazie al prezioso lavoro di tutto il personale (che salvo pochissimi casi non ha battuto ciglio sull’obbligo vaccinale!), dove vive se non si accorge che i mezzi pubblici non sono all’altezza della situazione e che, all’entrata e all’uscita, è impossibile garantire il distanziamento e l’uso delle mascherine?
Ora, lasciamo in pace il personale della scuola e gli studenti, dandogli la possibilità di studiare e di crescere; se a distanza – pazienza! – offriranno anche così il proprio contributo alla società. Le due “annate” precedenti di studenti – provare per credere – nonostante il peso che hanno sopportato, non ci hanno deluso, come non lo farà neanche questa per un paio di settimane a distanza!