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Crisi e pandemia: tutti gli aiuti messi in campo

Il bilancio della “guerra dei 15 mesi” lo ha fatto il Governatore Ignazio Visco nelle sue considerazioni finali il 31 maggio scorso. E’ un segno di un ritorno alla normalità che la relazione dell’Istituto di Palazzo Koch sia stata presentata in quella data, come è sempre avvenuto nel dopoguerra, tranne che l’anno scorso per colpa della pandemia. Le misure di sostegno a carico del bilancio pubblico sono andate soprattutto a beneficio dei settori maggiormente colpiti. L’impegno finanziario e stato elevato: sussidi, crediti di imposta e contributi alle imprese e al lavoro autonomo hanno superato nel 2020 i 20 miliardi; sono stati disposti differimenti e riduzioni di oneri fiscali per oltre 25 miliardi. Il sostegno prosegue quest’anno con risorse di entità paragonabile a quelle del 2020. I trasferimenti pubblici alle famiglie hanno raggiunto livelli imponenti nel 2020, con un aumento di oltre 30 miliardi al netto delle pensioni.

Questo eccezionale sostegno ha richiesto il forte ampliamento degli ammortizzatori sociali, anche per raggiungere persone non altrimenti coperte. La riduzione del numero degli occupati è stata molto inferiore a quella delle ore lavorate, ma è risultata comunque pesante per la caduta delle assunzioni a tempo determinato e la forte flessione della natalità delle imprese. Ne sono stati penalizzati soprattutto i giovani e le donne, la cui presenza è elevata nei comparti dei servizi più colpiti dalla crisi, quali quelli legati al turismo e al tempo libero.

Nel 2020 – come ha certificato la Banca d’Italia – il reddito disponibile delle famiglie consumatrici, valutato a prezzi correnti, è diminuito del 2,8 per cento (-2,6 in termini reali; tav. 5.1), molto meno del PIL; ha contribuito ad attenuare la flessione il deciso aumento dei trasferimenti (10,8 per cento), che ha sostenuto il reddito in misura valutabile attorno ai 4 punti percentuali. È stato più accentuato il calo della componente da lavoro dipendente (-6,9 per cento) e di quella da lavoro autonomo (-12,2 per cento). Nel complesso, le stime dell’Istituto, suggeriscono che tra marzo del 2020 e aprile del 2021 oltre il 40 per cento dei nuclei familiari abbia avuto accesso ad almeno una forma di sostegno al reddito per i lavoratori (trattamenti di integrazione salariale, indennità per disoccupati e per lavoratori autonomi o liberi professionisti, altri bonus) o per le famiglie (RdC, REM, bonus baby-sitter); tra questi, circa un terzo dichiara di avere usufruito di due o più misure. Dopo l’approvazione definitiva del decreto Sostegni, il governo ha presentato un nuovo decreto sulla stessa materia che prevede la possibilità di ottenere alcuni contributi a fondo perduto. Rispetto al contributo disciplinato dal primo decreto Sostegni, il D.L. n. 73/2021 prevede un ventaglio di possibilità, alcune delle quali richiamano proprio il precedente contributo, che viene comunque garantito – ex novo e in automatico – a tutti coloro che ne hanno beneficiato.

Nel 2020 il numero di occupati è diminuito del 2,1 per cento (525.000 persone in meno); le ore complessivamente lavorate si sono ridotte in misura più marcata, dell’11,0 per cento. Il brusco calo dell’input di lavoro è interamente riconducibile agli effetti della pandemia. Alla flessione relativamente contenuta del numero di occupati hanno contribuito le politiche di sostegno pubblico, tra cui l’estensione dei regimi di integrazione salariale in costanza di rapporto di lavoro (come la Cassa integrazione guadagni, CIG), il blocco dei licenziamenti per motivi economici e gli interventi di supporto alle imprese. Sempre a marzo del 2020 il Governo ha introdotto la CIG di emergenza con causale Covid-19 (CIG-Covid-19), strumento di integrazione salariale che copre anche i lavoratori esclusi dagli schemi ordinari (appartenenti ad alcuni comparti dei servizi a alle piccole imprese). L’utilizzo è stato estremamente ampio, soprattutto nel secondo trimestre, quando vigevano severe restrizioni alla mobilità delle persone e alle attività economiche: sulla base della Rilevazione sulle forze di lavoro (RFL) dell’Istat, in quel periodo gli individui in regime di integrazione salariale sono stati in media oltre 2,2 milioni (circa il 18 per cento dei dipendenti del settore privato non agricolo), di cui 1,7 con integrazione a zero ore2.

Il ricorso alla CIG-Covid-19 è diminuito in estate ed è tornato ad aumentare in autunno con la seconda ondata di contagi e la reintroduzione di limitazioni alle attività. In media d’anno circa 900.000 occupati hanno beneficiato degli schemi di integrazione salariale, tre volte il picco registrato durante la doppia recessione del 2009-2013. A parità di altre condizioni, il regime di integrazione salariale è stato significativamente meno diffuso tra gli occupati nei settori e nelle imprese che hanno avuto la possibilità di ricorrere al lavoro da remoto. Il sistema produttivo ha affrontato la crisi pandemica in condizioni migliori di quelle prevalenti durante la crisi finanziaria globale. Da allora ha avuto luogo, pur con insufficienze e ritardi, un processo di selezione delle imprese e di riallocazione delle risorse che ha portato all’affermarsi, in particolare nell’industria manifatturiera, di aziende più competitive e dalla struttura finanziaria più solida.

La crisi ha determinato una drastica riduzione della produzione e dei ricavi, con squilibri di bilancio per le imprese più colpite dalle restrizioni all’attività, aggravando le condizioni di quelle già fragili prima della pandemia. Il bilancio dei 15 mesi del “nostro scontento” non è dunque completamente negativo, se questo giudizio può essere dato nella attuale situazione. Dopo la riuscita dell’operazione Dunkerque Winston Churchill, pur apprezzando quel risultato che sembrava impossibile da realizzare, affermò che le guerre non si vincono con le evacuazioni. Ma l’Inghilterra aveva riportato in patria gran parte di quell’esercito che avrebbe potuto assicurare una difesa in caso di invasione come allora si temeva. E’ un po’ questo lo spirito con cui il Governatore ha concluso il suo discorso. “E’ certo pero che verrà meno lo stimolo, in parte artificiale, che oggi proviene da politiche macroeconomiche straordinarie ed eccezionali. Cesseranno quindi il blocco dei licenziamenti, le garanzie dello Stato sui prestiti, le moratorie sui debiti. E andrà, gradualmente ma con continuità, ridotto il fardello del debito pubblico sull’economia. Bisogna essere preparati – ha aggiunto – ai cambiamenti di cui abbiamo contezza e pronti per rispondere agli eventi e agli sviluppi inattesi, come dolorosamente ci insegna l’epidemia che ci ha tutti colpito”.

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