Dicono che sia la più sincera forma di ammirazione, quella incontenibile che si produce all’interno del proprio animo osservando chi è migliore di noi, chi è riuscito, chi ha ottenuto qualcosa che magari noi desideriamo senza ottenerla, che faremmo di tutto per averla, a qualunque costo, solo per il gusto di averla, di non essere secondi, di poterla mostrare, di poter mostrare che anche noi non siamo da meno.
È l’invidia che serpeggia e monta appena se ne presta l’occasione; è strano, perché un semplice desiderio irrealizzato non scuote gli animi ed anzi alimenta la speranza; ma appena v’è notizia che altri lo hanno realizzato, le acque interne si agitano e si gonfiano preannunciando la tempesta che prima o poi si esprimerà nei confronti del malcapitato ed ignaro invidiato. Perché? Finché non ce n’è per nessuno sembra che il problema non ci sia ma appena compare in un nostro vicino ecco che insorge incontrollata ed incontrollabile: ci fa sentire inferiori, ci fa chiedere perché sì all’altro e a me no? Cosa mi manca per avere lo stesso risultato? E poi, giù l’incomprensione nei confronti del simile, che non sarebbe in grado di comprendere il nostro stato d’animo solo perché ha quello che ci manca.
È un vizio relazionale; non sorge da solo ma si pone immediatamente in opera appena ci confrontiamo, come se venisse minata la nostra autostima senza la quale cadremmo nel più misero servilismo. Non si pone nei confronti né dei beni né delle cose o degli animali, né della natura, né dei sentimenti: sorge solo in relazione ad un nostro simile che riteniamo immeritatamente più fortunato, oppure ne denigriamo i meriti cui attribuiamo quello che ci pare un successo.
Ma anche qui, la distanza non deve essere tanta: non invidiamo l’uomo, l’artista, il personaggio di successo, ma il nostro simile, e magari chi ha avuto successo è invidiato da chi, nel suo ambito, non lo ha avuto. È lì il confronto: tra chi ci è vicino e consideriamo ingiustamente preferito rispetto a noi. È il vizio della comparazione, animato dalle streghe che sanno un circolo intrecciar aprendo la tragedia di Shakespeare, da cui Verdi trae il soggetto, che predicono il futuro regale ed a cui Lady Macbeth si rivolge invocando or tutti sorgete, ministri infernali, che al sangue incorate, spingete i mortali per indurre all’omicidio del re che le spianerà la strada al soglio.
L’intrigo che si svolge dai pensieri maligni arma la mano per eliminare l’ostacolo all’oggetto del desiderio, che diviene perverso, ed avviluppa in una sequenza inesorabile l’insorgere della coscienza del male fatto, rendendo vana l’azione compiuta e risucchiando l’autore: Una macchia è qui tuttora… via, ti dico, o maledetta!… Che n’avvenne?… E mai pulire queste mani io non saprò?… canta la perfida nella gran scena del sonnambulismo, che si conclude con l’annuncio della sua morte.
Quanta differenza tra il momento dell’insorgere dell’invidia e l’inevitabile consapevolezza delle conseguenze che ha determinato: un’azione mossa dall’invidia, superato il breve momento della fallace soddisfazione, determina un contraccolpo inesorabile con la sua esplosione, col suo compimento, che spalanca gli occhi all’autore e gli rende visibile l’inutilità del sentimento covato. È qui il punto che ci consente di poterla arginare: l’invidia, pur se nasce spontanea, viene covata ed alimentata giorno per giorno dal confronto, negativo, cui ci sottoponiamo.
È necessario stroncare sul nascere il sentimento maligno che insorge e volgersi al prossimo con benevolenza, rassicurandosi di quanto si ha, di quello che si è, di come possiamo trovare soddisfazione all’interno di noi stessi, dei nostri affetti delle nostre relazioni, che appena osservate con occhio diverso divengono immediatamente migliori e gradevoli. È bello e giusto confrontarsi ed osservare chi sta avanti a noi, in ogni momento ed in ogni modo, ma va fatto per trarne insegnamento e vantaggio, umilmente e consapevolmente, con la certezza che quello che siamo ancora non lo abbiamo goduto appieno.