Cosa resta se togliamo Dio dalla nostra vita

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Un insigne arcivescovo impegnato in una solerte opera di traghettare una tranquilla diocesi appenninica nel burrascoso mare dei tempi moderni, flagellati dalle onde della secolarizzazione sostenute dal vento del relativismo, mi ha aperto gli occhi in un breve ma intenso incontro di cui ha voluto onorarmi, mostrandomi come spesso la verità si coglie attraverso poche parole efficaci: “Hai notato che se a Dio togli la D resta solo io?”. Una banale intuizione che ha acceso una luce diretta su quanto l’umanità sta vivendo.

Dio è morto, ha profetizzato Nietzsche e sulle sue ceneri ha dilagato il nichilismo prodotto dalla crisi dell’idealismo kantiano. Il pensiero dell’uomo ha vivisezionato l’intelletto e le sue capacità, ha passato al microscopio della scienza ogni aspetto del vivere, ha ricondotto alla sintesi chimica le passioni non governate dalla ragione, ha inteso allontanarsi dalle sue radici ma, mentre ha vagato, privo di meta e di guida, tra gli spazi dell’immensità, non si è accorto di cadere preda di uno scaltro mercante. Sovente accade che abbandoniamo le ripe sicure del luogo natio per addentrarci alla scoperta del mondo e divaghiamo tra i rivoli dell’esistenza fatua, crogiolandoci immersi tra i crapuloni, ma alla fine della giornata, esausti dell’inutilità delle distrazioni e privi dell’eldorado verso cui ci siamo incamminati, facciamo ritorno alle amate sponde con le pive nel sacco, sperando nella forza rassicuratrice delle nostre origini e confidando nel padre misericordioso (Lc 15,24).

Ma il nemico era in agguato: ha cavalcato il nostro desiderio di esplorare il mondo, la nostra voglia di conoscenza alla ricerca di un’identità, il nostro bisogno di cogliere i frutti materiali del nostro cammino e ci ha fatto credere che erano i beni che possediamo, quelli che possiamo toccare con mano, quelli che ci consentono di distinguerci dagli altri che non li hanno, che siamo migliori degli altri perché abbiamo di più, e possiamo ostentarlo visivamente, in una competizione perenne con ogni altro concorrente in cui abbiamo trasformato il nostro prossimo.

Ma se proviamo ad alzare lo sguardo dalla scena vediamo che il nostro mentore è in realtà il fornitore di questi prodotti che compriamo, a prezzo non solo del nostro lavoro e dei nostri beni ma principalmente della nostraanima più profonda: non siamo più noi stessi. Mefistofele ci ha irretiti, altro che il gatto e la volpe di un ingenuo Pinocchio caduto nel banale tranello. Qui è il signore del male, che si è manifestato nella sua potenza più becera, che porta a casa ogni giorno un lauto guadagno per le illusioni che ci concede, e noi giù a comprare, comprare, comprare assolutamente nulla di quanto ci abbisogna ma ipnotizzati dai messaggi che vengono astutamente inondati.

Siamo usciti dalle chiese dove siamo stati accolti fanciulli e nelle quali non ci viene fatto alcun male e siamo entrati nei baracconi della giostra vorticosa dei sensi in cui possiamo a nostro piacimento non si sa cosa, complici anche illusionisti in veste di mentori. Ma ce ne stiamo accorgendo e cominciamo a dubitare della bontà delle attrattive; il nemico ha subito attrezzato un nuovo strumento per privarci della facoltà di decidere poiché seleziona con un apposito algoritmo la scelta migliore e per ora te la propone, forse a breve te la impone. Anche Heidegger è salpato dagli studi di teologia da giovane gesuita, e dopo aver percorso il mare del nulla, coglie l’inganno della tecnica e fa ritorno a casa. E ci ha ammonito: solo Dio ci salverà (quello vero, non quello travestito da imbonitore).