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Coronavirus, cosa fare per la buona riuscita della fase 2

La data del 4 Maggio segnerà il termine del Lockdown previsto per la maggior parte delle regioni ed inizierà la fase 2 così come prevista dal governo e che dovrebbe coincidere con la riapertura delle imprese, dell’attività lavorativa e quindi con la ripresa economica.

La fase 2 per il suo buon fine, non può prescindere da una revisione critica di come sia stata gestita la prima fase dell’emergenza Covid-19 mettendone in evidenza luci ed ombre su quanto di positivo sia stato fatto e al contrario su ciò che si sarebbe potuto evitare. E’ indubbio che ci sia stata una iniziale sottovalutazione della pandemia e da parte del governo e da parte di alcuni virologi che avevano paragonato all’inizio tale malattia a “poco più” di una banale influenza; si è visto poi che così non è stato a fronte dei 107.709  positivi all’infezione, dei 24.648 deceduti e dei 51.600 guariti.

La critica che può essere rivolta alla strategia governativa, riguarda  essenzialmente,  il ritardo che è intercorso dalla data – 31 Gennaio – in cui si è dichiarato lo stato di emergenza relativo all’epidemia e i relativi provvedimenti scaglionati nel tempo. Tali provvedimenti sono stati esplicitati  essenzialmente con i decreti del  4 Marzo, attraverso la sospensione di tutte le attività didattiche e dell’ 11 Marzo con lo stato di quarantena su tutto il territorio nazionale, eccezion fatta per tutte le attività di prima necessità. Questo “ritardo” nella gestione dei tempi di quarantena, ha indubbiamente influito nel diffondersi della pandemia.

La seconda problematica, conseguenziale alla sottostima iniziale, è relativa alla mancanza del sollecito acquisto di presidi sanitari di protezione congrui  per il personale sanitario. Questa seconda grave omissione ha fatto si che i medici , soprattutto di famiglia, una volta infetti,  abbiano pagato un prezzo altissimo con 145 morti a fronte di circa dodicimila  contagiati registrati tra gli operatori sanitari, che a loro volta sono diventati vettori d’infezione con un meccanismo esponenziale che ha aumentato a dismisura il numero degli affetti da tale patologia virale.

L’altra questione, relativa alla gestione sanitaria, riguarda l’approccio alla diffusione del Covid-19 con un insufficiente numero di tamponi effettuati in caso di febbre e tosse seppur moderata ed il trattamento domiciliare solamente a base di Paracetamolo, fino a portare al ricovero, spesso in urgenza in reparti di terapia intensiva  per grave insufficienza respiratoria. L’esperienza ha poi insegnato che il trattamento medico adeguato nella fase uno con Idrossiclorochina, Azitromicina e se del caso con Eparina a basso peso molecolare, ha ridotto in maniera significativa il numero dei ricoveri in terapia semintensiva riservata solo ai pazienti in fase due con insufficienza respiratoria di grado moderato, e in terapia intensiva ai pazienti in fase tre con grave insufficienza respiratoria.

La fase 2 della gestione governativa, che ci auguriamo possa segnare l’inizio della ripresa economica, dovrà affidarsi al senso civico dei cittadini con l’osservanza di linee guida che da qui a breve saranno dettate ma che comunque non potranno certamente prescindere dall’osservanza della distanza interpersonale di circa due metri, dall’uso di mascherine certificate e da guanti ed occhiali protettivi. E’ del tutto evidente che se non si seguiranno scrupolosamente queste direttive, si rischierà ragionevolmente di essere investiti da una seconda ondata epidemica in autunno, i cui effetti al momento non siamo in grado di poter prevedere.

La questione di questi giorni circa il prolungamento del periodo di quarantena oltre i settanta anni, riguarda una larga parte dei cittadini e va a colpire quella parte della popolazione che oltre ad aver  contribuito allo sviluppo del nostro Paese, rappresenta oggi una parte importante dell’economia nazionale. Il razionale di tale “restrizione” sarebbe giustificato da parte del pool degli esperti, dal maggior rischio che tale fascia di età ha di non superare l’eventuali complicanze respiratorie legate all’evolversi della malattia.

E’ altresì universalmente codificato però che esiste un’età anagrafica ed una biologica e  che spesso le due non coincidono. Non di rado infatti ci si trova di fronte a persone ultrasettantenni con fisico indenne da patologie metaboliche o cardiovascolari, al contrario di sessantenni affetti da tali patologie. E’ ragionevolmente giustificato pertanto, in base a quanto suddetto, che la possibilità di poter uscire debba essere legata non tanto all’età anagrafica quanto piuttosto alle condizioni di salute del singolo. E come fare la distinzione tra queste due categorie di soggetti? Semplicemente con una certificazione del proprio medico curante da esibire ad un eventuale controllo del personale addetto.

Credo infine che per rispetto debbano essere ricordate, unitamente alle proprie famiglie, quelle 24.648 vittime decedute per infezione da Covid-19, molte delle quali portate via da camion militari e delle quali nulla è restato ai congiunti se non che poche ceneri. Ebbene provo ad immaginare l’angoscia di questi ammalati, quando sofferenti, febbricitanti e con difficoltà respiratoria venivano portati in terapia intensiva coscienti, ancor più se medici, del loro ultimo viaggio; con la paura del distacco e senza poter più vedere i propri cari, hanno lasciato questa terra senza il conforto di una mano da poter stringere  nel momento più difficile del passaggio e con l’ulteriore triste consapevolezza per “il credente” di dover rinunciare anche all’imprescindibile conforto sacramentale.

 

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