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Gli ultimi sviluppi del conflitto del Nagorno Karabakh

Immaginatevi una situazione in cui uno stato confinante annuncia di voler progettare un viale lungo decine di chilometri che spacchi il territorio del vostro stato in due e arrivi poi ad un terzo stato (oppure al suo exclave). E senza neanche chiedere la vostra opinione. Che ne pensereste di una tale richiesta? Questo surrealismo tocca i rapporti tra Armenia e Azerbaijan, vincitore, quest’ultimo della guerra dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) dopo l’aggressione del 27 settembre 2020, scoppiata nella guerra dei 44 giorni e realizzata con l’appoggio militare, logistico e pratico della Turchia di Erdogan e dei terroristi esportati dalla Siria. Ora l’Azerbaijan si presenta con nuove idee di rivendicazione contro gli armeni, aspirando a creare un collegamento terrestre via il territorio sovrano della Repubblica d’Armenia e annunciando, allo stesso tempo, di  essere pronto ad “applicare la forza”, qualora l’Armenia volesse opporsi ai suoi progetti.

A seguito della dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco, formulata da Armenia, Azerbaijan e Russia il 9 novembre 2020, l’Azerbaigian ha infatti continuato la sua politica di aggressione nei confronti dell’Armenia e della Repubblica di Artsakh, la quale il 2 settembre ha festeggiato i 30 anni della sua indipendenza.

Il periodo tra dicembre 2020 e giugno 2021 ha visto il susseguirsi di vari eventi: l’infiltrazione (13 dicembre 2020) delle forze speciali azere nei villaggi di Hin Tagher e Khtsaberd in violazione della dichiarazione trilaterale, durante la quale i soldati azeri hanno catturato decine di soldati e civili armeni; il deturpamento della Cattedrale armena di San Salvatore a Shushi e la rimozione delle sue cupole (3 maggio 2021); l’infiltrazione in Syunik, regione meridionale della Repubblica d’Armenia; le tensioni a Khdzoresk e Verishen, Vardenis e Kut (3 maggio 2021); l’avanzamento delle truppe azere nelle zone confinanti con le città di  Vardenis e Sisian (14 maggio 2021); il fuoco aperto il 25 maggio 2021, con l’uccisione di un soldato armeno sulla territorio della Repubblica d’Armenia, a Verin Shorzha; la presa in ostaggio di 6 militari armeni sul territorio sovrano della Repubblica d’Armenia, mentre facevano lavori di ingegneria militare mirata alla fortificazione dei confini  (27 maggio). Da segnalare poi che l’Azerbaijan rilascia 15 prigionieri di guerra armeni (13 giugno), però solo in cambio di una mappa delle mine (per i territori occupati), applicando così il principio terroristico di scambio di vite umane con oggetti preziosi; il 15 giugno Erdogan è a Shushi – la città distrutta dalla Turchia e dall’Azerbaigian nel 1920 e nel 2020 – accompagnato dal presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e dalla sua famiglia – per celebrare il successo dopo l’aggressione contro l’Artsakh e l’Armenia; nella dichiarazione sullo sviluppo del “mondo turco”, si ricorda il trattato di Kars del 1921, per mezzo del quale agli armeni vennero strappate intere regioni, terre storiche armene, nota con soddisfazione la collaborazione russo-turca sul territorio di Artsakh e prevede una collaborazione tra Turchia e Azerbaijan nell’ambito politico-militare.

Il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Artsakh condanna fermamente tali visite nei territori occupati di Artsakh, considerandole come ”una provocazione, un’attuazione della politica espansionistica ed estremista e una chiara manifestazione di grave violazione del diritto internazionale, xenofobia, genocidio e politica terroristica”; il 6 luglio 2021 si verifica un caso serio di sparatoria intensa a Verin Shorzha, ferito un soldato armeno; le truppe azere cominciano a sparare anche nella direzione di Yeraskh, nel sud-ovest dell’Armenia. E’ in atto il nuovo piano dell’aggressione, che prevede di attanagliare la Repubblica d’Armenia sia dalla parte orientale che da quella occidentale (17 luglio).

Nel mese di agosto, l’Azerbaijan continua a terrorizzare la popolazione pacifica dei villaggi armeni situati lungo il nuovo confine, sparando nello specifico nella direzione dei villaggi di Sotk, Kut, del lago Sev (confine orientale) e anche nuovamente a Yeraskh, dal territorio di Nakhijevan (confine occidentale) – uccidendo tre soldati armeni, compreso un sottosergente (1 settembre) delle Forze armate dell’Armenia. Nel frattempo Aliyev, nel suo discorso del 17 agosto, svela il piano massimalistico che suona come una nuova dichiarazione guerrafondaia: “Apriremo il corridoio per far ritornare i nostri civili nelle loro terre storiche; staremo ovunque vorremo stare”, “ripeteremo la lezione data agli armeni” [riferendosi alla guerra dei 44 giorni]. Il 25 agosto, come ennesima provocazione, le truppe azere bloccano una parte dell’autostrada Goris-Kapan, invece il 31 agosto provocano incendi lungo il confine armeno-azero nella zona di Sotq e Kut.

Risulta una situazione nella quale l’Armenia si trova circondata da nemici e falsi alleati, una situazione che potrebbe compromettere di nuovo la pace e la sicurezza della regione.

La Russia, con il mancato supporto agli Armeni, ha contribuito in modo decisivo all’allargamento dello spazio geopolitico dei neo-ottomani, rafforzando il fattore turco non solo contro l’Armenia – avendo utilizzato quest’ultima come un “alleato strategico” usandola, comunque, come risorsa/moneta di scambio nei suoi rapporti con i turchi, come ha fatto anche 100 anni fa – ma anche contro l’Occidente e la Cina.

La comunità internazionale continua a rimanere inattiva e complice dei crimini dei neo-ottomani contro il popolo armeno dell’Artsakh, essendo neutralizzata dalla presenza della Russia sul territorio, che continua la “politica di punizione” contro l’Armenia per il cammino democratico da essa intrapresa senza la sua approvazione.

L’Azerbaijan gioca su tre piani importanti oltre a quello politico:

  • Militare – pressioni da est e ovest sull’Armenia, mirate alla realizzazione del progetto a tappe “1. Corridoio, 2. Conquista di Syunik 3. Lago di Sevan 4. Yerevan”
  • Culturale – deturpamento di monumenti armeni e dissacrazione di tombe e siti cristiani armeni, cancellazione di ogni traccia storica della presenza degli armeni in Artsakh, seguendo il principio #CancelArmenianCulture ossia quello di distruggere ogni traccia e prova dell’esistenza secolare degli armeni nei territori occupati.
  • Psicologico – esaltazione dei crimini contro gli Armeni, dei crimini di guerra, processi inventati contro i prigionieri di guerra armeni dove questi ultimi vengono etichettati come “terroristi”, per controbilanciare la schiacciante evidenza sull’uso da parte dell’Azerbaijan di mercenari terroristi esportati dalla Siria attraverso il territorio turco.

L’Armenia, a causa del sua dipendenza da un alleato geostrategico e politico estremamente discutibile, si trova innanzitutto in uno stato di prigioniero del proprio modello democratico eletto nel 2018, a dispetto della mancata approvazione del Cremlino – giocatore fondamentale e gestore di questo conflitto, i cui presupposti vennero creati apposta da Stalin negli anni 20 del secolo scorso, per tenere la regione sotto controllo. Come risultato, intere regioni armene, molte delle quali oggi fanno parte di un soggetto politico e territoriale conosciuto con lo stesso nome di una regione iraniana (“Azerbaijan”), sono diventate una specie di valuta nelle mani delle grandi potenze per pagare le cessioni /bilanciamento/ del potere, ma anche per punire gli Armeni per la via di sviluppo democratico da loro scelto.

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