Confessione, un dialogo con la propria coscienza

Foto di Sasin Tipchai da Pixabay

Da diverso tempo si sente parlare di persone che si rivolgono ad analisti, psicologi, psicoterapeuti e counselor a cui confidano i propri disagi e le proprie difficoltà per ricevere un aiuto non solo a capire se stessi ma anche a trovare il modo migliore per relazionarsi con gli altri.

La diffusione di questi aiuti è aumentata in maniera esponenziale negli ultimi anni tanto che coinvolge moltissime persone, spesso anche di giovanissima età, quali fanciulli, adolescenti e giovanissimi. Certamente va riconosciuto il merito alla professionalità dei consulenti ed alla qualificazione degli esperti che svolgono un ruolo importante per orientare e guidare le persone in questa ridda di sollecitazioni confuse e contrastanti, da cui sono bombardate dai messaggi in rete di provenienza più disparata, dalla televisione oramai priva di qualunque criterio di riferimento, dai consigli elargiti a cuor leggero e dalle immagini di apparente successo propinate dallo scaltro mercato dei venditori di fumo.

Non è facile mantenere il cammino diritto secondo le proprie idee e le proprie inclinazioni e cercare di non farsi trascinare da quest’onda di piena che sembra travolgere tutti ma che in realtà non riguarda che pochi operatori a cui fa seguito un apparente esercito di seguaci.

Ma i giovani ed i giovanissimi, come anche coloro che pure adulti si trovano coinvolti loro malgrado a dover fare i conti con questi disagi relazionali, che pure stentano ad allinearsi a queste perfide esigenze del mercato, sentono il bisogno di farsi aiutare rivolgendosi alle categorie di analisti e consulenti che oggi proliferano. Se va espresso apprezzamento per la diffusione di questa fiducia nell’apporto di categorie professionali esperte, devo registrare, con nostalgica tristezza quanto meno per la gratuità, è che prima (non tanto prima) queste difficoltà si superavano all’interno della famiglia, mediante il dialogo con i genitori o con i fratelli e sorelle più grandi, od anche nella cerchia di amici (quelli in carne ed ossa) con cui ci si confidava e ci si confrontava, imparando ad interrogarsi ed a valutare con le proprie idee gli stimoli che incontravamo; le risposte erano concrete e misurabili, e bastava poco a capire se eravamo sulla strada in cui volevamo essere.

Gran lavoro lo facevano anche la scuola e gli ambienti sportivi per chi li frequentava che erano palestre di confronto e di verifica effettiva. E lo faceva anche la chiesa, non solo nell’appuntamento settimanale con la messa, ma quotidianamente con l’oratorio, gli scout, l’azione cattolica, il volontariato, momenti di aggregazione e di cammino insieme e di crescita individuale. Ma proprio nella scuola, nella famiglia e nella chiesa sono stati individuati i veri nemici da contrastare, proprio per la funzione di supporto e di aiuto che essi forniscono alla crescita delle persone e della coscienza, con l’evidente scopo di poter contare sulla fragilità dei singoli per poterli meglio manipolare nell’intento di sfruttarne le risorse.

Il contrario di quanto hanno bisogno le persone che anelano a fortificarsi per poter davvero scegliere secondo le proprie individuali convinzioni, a condizione che siano frutto del proprio percorso di crescita e non certo conseguenza degli specchi astutamente disseminati sulla strada. Chi sbagliava andava a confessarsi e parlava con un sacerdote che non vedeva ma ascoltava e quel dialogo era anzitutto con se stessi e con la propria coscienza e l’aiuto che si riceveva da questa pratica non era di natura scientifica ma emozionale in quanto proveniva anzitutto dalla propria liberazione dal peso non certo dei problemi ma del proprio modo di affrontarli, della cui inadeguatezza ci si rendeva presto conto da soli, tanto da sentire il bisogno di riconoscerlo.

Iniziava e proseguiva quel dialogo interiore con la propria coscienza, con la propria sensibilità, scevro da influenze di comodo, finalizzato soltanto al recupero della propria consapevolezza della strada da voler percorrere. A me piaceva tanto la parola confessione in quanto ci sottoponeva volontariamente al giudizio a chi ci guardava; oggi è stata sostituita con la riconciliazione, che valorizza di più il momento di avvicinamento all’effettivo superamento della condizione di errore. L’una e l’altra consentono di riconoscere ciò che effettivamente vogliamo e questo è l’obiettivo più ambito.