Nel luglio 1943 alcuni intellettuali cattolici si riuniscono, presso il monastero benedettino di Camaldoli, con l’intento di confrontarsi e riflettere sul Magistero sociale della Chiesa. I partecipanti, sia laici e sia religiosi, ritengono necessario cristallizzare i principi fondamentali del pensiero sociale cattolico, in considerazione del delicato momento che il Paese sta attraversando. A guerra non ancora terminata, questo gruppo di Cattolici italiani va ben oltre la discussione e l’approfondimento, ridisegnando un modello di ordine sociale che possa affrontate le sfide a guerra finita. In sei giorni, i partecipanti stilano un programma per la rinascita dell’Italia dalle macerie della guerra e della dittatura. L’idea che ne scaturisce è quella di un modello di Stato che persegua la giustizia sociale, come concreta espressione del bene comune, nella libertà e nella democrazia, e che quindi intervenga per regolare l’economia di mercato, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini e per sostenere la famiglia.
Il dibattito va ben oltre le indicazioni contenute nel Codice di Malines, affrontando le questioni nuove riguardanti la vita civile, lo Stato, la famiglia, la scuola e i problemi internazionali. Il Codice di Camaldoli è un condensato di settantasette enunciati che partono dal superamento del corporativismo tra i cattolici, per far emergere quella concezione dell’economia mista, né liberista, né collettivista. Il Codice di Camaldoli nasce, in definitiva, come una sorta di Carta di principi. Il Codice di Camaldoli, successivamente pubblicato nel 1945, influenza, negli anni successivi, la scrittura della Costituzione e le scelte di politica economica e sociale della Democrazia Cristiana. Il Codice di Camaldoli affronta le nuove questioni, sociali ed economiche, prepotentemente emerse dopo la fine della guerra, e la ripresa della vita democratica del Paese, in cui i cattolici stanno per assumere crescenti responsabilità di governo. Tra i diversi principi, quelli più significativi, sono la dignità della persona umana, l’eguaglianza effettiva dei diritti di carattere personale e la solidarietà.
L’intervento dello Stato viene visto come diretto a tendere individui, famiglie e gruppi capaci di risolvere per proprio conto e con le proprie forze e nella propria autonomia i problemi. Lo Stato viene individuato come lo strumento con cui gli individui e le forze sociali organizzano la loro vita ai fini di una convivenza volta a sviluppare la loro libera attività, da cui deriva il dovere fondamentale degli individui e gruppi sociali di essere parte attiva rispetto all’ordinamento giuridico. In tal senso, l’organizzazione statale deve consentire ai cittadini, singoli e associati, di partecipare in forme giuridiche all’attività legislativa, amministrativa e giudiziaria dello Stato. È palese come i valori e i principi del Codice di Camaldoli abbiano influenzato la scrittura della Costituzione e le scelte di politica economica e sociale della Democrazia cristiana nei primi decenni di governo, portando alla definizione dello Stato interventista e dello Stato sociale.
Il continuum culturale del Codice di Camaldoli è nella Costituzione, in cui gli artt. 2 e 3 sono la base del principio personalista – vale a dire la centralità e dignità della persona umana come scopo fondamentale del nuovo ordinamento e perciò come finalizzazione dell’esercizio dei pubblici poteri –, e del principio pluralista – vale a dire il ruolo delle formazioni sociali, l’articolazione territoriale dello Stato, il riconoscimento della famiglia come fondamento della nuova società –, e del principio di uguaglianza sostanziale – che rifiuta una concezione meramente formalistica dell’uguaglianza, ma impegna lo Stato e tutti gli organi pubblici nel superamento delle disuguaglianze sociali – e del principio di solidarietà. Tali articoli sono il cuore ideologico della Costituzione, perché esprimono l’idea pluralistica della società, rispettosa dei diritti della persona, singola e associata, che esistono da prima dello Stato e che lo Stato riconosce come originari. In pari tempo, però, contengono un’idea di Stato tutt’altro che minimo, in cui le istituzioni assumono il compito di creare solidarietà intesa come riduzione – se non rimozione – degli ostacoli economici e sociali alla piena cittadinanza. Ciò è tutt’altro che scontato nello stesso mondo cattolico, per molta parte preoccupato più dei limiti che degli obiettivi dell’azione statale, secondo una visione che impone alle maggiori forze costituenti uno scatto di qualità, non un compromesso al ribasso.
Il comune denominatore tra il Codice di Camaldoli e la Costituzione è sintetizzabile nella sussidiarietà, principio generale di organizzazione sociale. L’anima culturale che maggiormente contribuisce allo sviluppo del concetto giuridico, moderno, di sussidiarietà è la dottrina sociale della Chiesa, la stessa che ben ispira il Codice Camaldoli. Il principio di sussidiarietà orizzontale indica il ruolo di subsidiatio svolto dal soggetto pubblico in sostegno ed in aiuto dei privati. Il fondamento concettuale è il riferimento al singolo, alla persona, al cittadino, quale membro della società civile e politica, come destinatario finale dei benefici derivanti dalla convivenza e dall’organizzazione politica e sociale. Nell’ambito di questo orientamento, le diverse comunità politiche e sociali devono aiutare in maniera suppletiva le minori comunità e i singoli, senza sostituirsi e senza togliere loro la possibilità di provvedere autonomamente ai propri bisogni.
La sussidiarietà va considerata come elemento ispiratore di alcune norme fondamentali della convivenza e dell’organizzazione sociale, fra quelle che valorizzano la persona e l’autonomia delle formazioni sociali. La sussidiarietà orizzontale non è posta come principio ad ulteriore conferma del principio personalista che permea la Costituzione, ma crea una nuova peculiare situazione giuridica in capo ai cittadini, determinando una sorta di riserva di spazio privato per l’esercizio di attività di interesse generale. In quest’epoca di crisi della politica, delle istituzioni e dell’economia, l’attualità del Codice di Camaldoli, che parte dalla Dottrina sociale della Chiesa e attraversa la Costituzione, è rappresentata da quel moderno principio di ordine sociale che è la sussidiarietà, strumento e al contempo sfida per il futuro del Paese.
L’apporto intellettuale e morale dei tre valtellinesi parte dalla partecipazione alla stesura del Codice di Camaldoli, passando attraverso la scrittura della nostra Costituzione repubblicana del 1948, fino alla determinazione delle politiche economiche del primo dopo guerra. La sintesi dei pensieri e delle azioni dei tre valtellinesi, come di altri intellettuali cattolici, sta nella Dottrina sociale della Chiesa cattolica, che non è una generica e multiforme espressione del pensiero cattolico, sviluppatosi nel corso dei secoli, bensì la risposta, dotata di rilevante autorevolezza istituzionale ed espressa in termini dottrinali, attraverso la quale il magistero cattolico affronta la realtà sociale ed economica di un dato momento storico, non potendo divenire – perciò – né un’ideologia né un programma politico perché come fortemente sostenuto da Giovanni Paolo II, si svuoterebbe di fatto sia del suo contenuto di principi propri che della sua funzione pratico-orientativa. Risulta rilevante il contributo dei camaldolesi, che hanno saputo leggere il loro presente, partendo dal loro passato per arrivare al nostro futuro; in tal senso il loro insegnamento è il fondamento di concetti moderni, come la sussidiarietà, che ricomprende il bene comune e l’economia civile, divenendo attuale e indispensabile in quest’epoca.