Categories: Opinione

Nel complicato mondo delle criptovalute…

Logo Interris - Nel complicato mondo delle criptovalute…

Logo INTERRIS in sostituzione per l'articolo: Nel complicato mondo delle criptovalute…

Nonostante Bitcoin esista da dodici anni, sembra che delle criptovalute si parli solo quando questo raggiunga dei picchi di quotazione che, al momento, supera abbondantemente i 60’000 usd per unità.

Prima, però, di parlare di possibili evoluzioni del sistema è bene inquadrare cosa sia una criptovaluta e come funzioni.

Cercando su internet una definizione di criptovaluta si può trovare “risorsa digitale paritaria e decentralizzata” come riporta anche Wikipedia ma è una descrizione un po’ fumosa che andrebbe ampliata.

La prima cosa da chiarire è che non si tratti di valuta, perché pur potendo usare bitcoin come riserva di valore o come mezzo di pagamento non è possibile utilizzarla come unità di conto per via della grande volatilità che questo o qualsiasi altra criptovaluta mostra sui mercati.

Si tratta, quindi, di un asset finanziario, cioè di un bene che può essere scambiato sul mercato.

Fin qui nessuno stravolgimento perché, a livello pratico, all’investitore medio in criptovalute poco importa della loro natura finanziaria, interessa soprattutto la loro gestione e le potenzialità di crescita.

Ecco, qui nascono i primi punti da approfondire e legati alle due parole “paritaria” e “decentralizzata” che si leggono nella definizione prima riportata e che proverò a descrivere nella maniera più chiara e sintetica possibile, ovviamente a svantaggio della precisione tecnica ma per quello è possibile rivolgersi a pubblicazioni e autori specializzati nel settore.

Ogni criptovaluta si basa su una struttura chiamata blockchain che è una rete di nodi che oltre a confermare gli scambi vanno a emettere nuove unità “valutarie” con l’operazione di mining.

Ogni nodo, nelle reti principali come bitcoin o Ethereum, è presidiato da uno o più elaboratori che autorizzano le operazioni dopo mentre validano la propria esistenza risolvendo un quesito matematico a complessità crescente, la cosiddetta proof of work, che, sulla rete btc, mette in palio per il primo nodo che la risolva 12,5 bitcoin.

Questo meccanismo fa sì che un’operazione venga validata da tutta la rete e registrata su un ledger, un registro appunto, che la vulgata dice decentralizzato quando in realtà è duplicato su ogni nodo, necessitando, quindi, sempre maggiori disponibilità di memoria per poter gestire un database in perenne crescita e non cancellabile se non con una nuova operazione seguente.

Tutto questo porta, però, a delle caratteristiche molto interessanti della blockchain che sono la tracciabilità perfetta delle transazioni (che sono pseudo anonime e che, quindi, non si prestano realmente a operazioni di riciclaggio di denaro, ad esempio), a una completa trasparenza e verificabilità delle operazioni e dall’immutabilità del registro, tanto che si è ipotizzato di poterla utilizzare per la gestione dei contratti (cosa che la blockchain di Ethereum, ad esempio, consente fin dalla nascita); quest’ultima caratteristica, sicuramente molto interessante, ha fatto sognare di poter disintermediare, ad esempio, le transazioni immobiliari ma anche di creare un nuovo circuito, più sicuro, per i trasferimenti di denaro nel mondo, per sostituire il sistema SWIFT oggi utilizzato, oppure per creare una nuova rete di mercati telematici per titoli e materie prime, cosa su cui ha lavorato per diverso tempo un gruppo di banche di altissimo profilo.

Tutti progetti che, però, non hanno mai visto la luce per le criticità strutturali proprio di queste blockchain che vanno dal numero di transazioni possibili, dalle 7 al secondo per bitcoin alle 2’800 al secondo per EOS quando la più che collaudata e capillarmente diffusa nel mondo rete VISA, ad esempio, ne può gestire 24’000 certificate e si dice che possa arrivare fino a 50’000 transazioni al secondo, e dalla fame di energia che le blockchain basate sulla proof of work richiedono.

Solo bitcoin consuma tanta energia come tutta la rete internet mondiale ma la richiesta sarà sempre maggiore man mano che le transazioni aumenteranno e a questo vanno aggiunte anche tutte le altre reti di criptovalute.

Per ovviare a questo problema sono state create delle blockchain basate su un altro protocollo, la proof of stake, che invece di dimostrare l’attività dei nodi punta a mettere in gioco i wallet dei miners, che diventano i cosiddetti validator. Si tratta però di criptovalute meno conosciute e sicuramente meno attrattive, a livello finanziario, di quelle più nominate sui media ma sicuramente più interessanti a livello tecnologico per la minore energivorità.

Detto questo si torna alla questione base… ma queste criptovalute che futuro hanno?

Presto detto, sempre che sopravvivano a medio-lungo termine, quello di asset di investimento alternativo in caso di crisi, un bene rifugio in pratica, sempre che delle future innovazioni tecnologiche non le rendano appetibili per qualche applicazione reale.

Qualcuno storcerà il naso di fronte a questa idea, visto che molti hanno visto bitcoin (che è preso ad esempio, visto che si tratta della cripto più conosciuta, ma si potrebbe girare il discorso su tutte le altre) come una rivoluzione libertaria, che permetteva di disintermediare le banche e le politiche inflazionistiche delle banche centrali creando un nuovo gold standard ma questa è una mera illusione.

Un amico, molto esperto del settore, una volta mi disse che se non ci fosse mai stata questa folle corsa ai tassi negativi e alla liquidità estrema da parte delle banche centrali, oggi bitcoin varrebbe al massimo poche decine dollari e sarebbe un giocattolo nelle mani di una cerchia ristretta di nerd e fanatici libertari e, in effetti, ha perfettamente ragione.

Questo perché, al di là della tecnologia sottostante che, se mai si riuscisse a implementare per una gestione ottimale degli smart contracts già possibili sulla blockchain di Ethereum ad esempio, potrebbe essere veramente interessante per la validazione e la conservazione di contratti e atti, un investimento in criptovalute è un gioco a somma zero.

La capitalizzazione di bitcoin è pari ai capitali che vi siano stati immessi non esistendo alcun pay-out (dividendo o cedola che sia) e, quindi, il suo valore dipende esclusivamente da quanti siano gli investitori e quanto questi abbiano pagato per acquistalo.

Non vi possano essere, infatti, due soggetti che guadagnino contemporaneamente, se uno fosse in attivo di 100 qualcun altro (o una sommatoria di alti soggetti) sarebbe in passivo di 100 ma questo si noterà meglio quando le quotazioni inizieranno a calare e cioè quando riprenderanno appieno le dinamiche di investimento in tutto il mondo e altri asset diverranno più interessanti, tanto che diverrà conveniente liquidare le proprie posizioni per avere liquidità disponibile.

Qualcuno dirà “non è che ci sia una gran differenza tra questo e un investimento in borsa” e, in effetti, se valutato dall’occhio della mera compravendita di titoli, è verissimo, la finanza in generale non crea né distrugge ricchezza ma la rialloca; ci sono, però, due differenze basilari tra questi due mondi.

Il primo era stato accennato poco fa ed è l’esistenza di un pay-out, caratteristica di azioni e obbligazioni, mentre il secondo è quello dell’esistenza di una camera di compensazione, dal lato borsistico, che è un’istituzione che consente il regolamento dei saldi provenienti da operazioni su strumenti finanziari in tutto il mondo, permettendo anche la vendita frazionata di uno stock di titoli in un’unica operazione.

Le piattaforme di exchange, invece, delle criptovalute non lo sono, tanto che passando da una sull’altra è possibile effettuare arbitraggi anche molto elevati basandosi sui prezzi, indicati in valute correnti, delle varie cripto lì trattate, un sistema di camere di compensazione, infatti, va a minimizzare la possibilità di arbitraggio tra un listino ed un altro garantendo la massima trasparenza possibile alle transazioni.

A tutto questo bisogna aggiungere che i mercati finanziari tradizionali siano completamente regolati con norme precise per accedervi e siano previste tutele a livello di legge sia per chi acquisti sia per chi venda titoli su di essi; il mercato delle criptovalute è, tutt’oggi, non regolamentato (o over the counter, OTC, come lo si definisce in gergo finanziario), cosa che non è un male in sé ma che impone molta più attenzione quando vi si voglia operare.

Come si vede da questa breve e, evidentemente, incompleta raffigurazione il mondo delle criptovalute è molto complesso e va approfondito molto bene prima di pensare di approcciarvisi. Sia chiaro non si parla di sistemi truffaldini o di metodi di evasione fiscale o riciclaggio di denaro, ma solo di asset molto volatili, speculativi quindi e che possono dare sì grandi ritorni ma, come sempre, la possibilità di grandi guadagni corrisponde a grandi rischi che vanno messi in conto.

Matteo Gianola: