Guerra, pestilenza, carestia: in tempo di emergenze da un esame di coscienza collettivo potrebbe uscirne un nuovo modo di essere autenticamente popolo di Dio: interrompendo quell’ormai inaccettabile “percorso” a senso unico, da una Chiesa docente a una Chiesa discente, che da secoli condiziona la vita della comunità cattolica. Così come potrebbe uscirne un nuovo modo di dire la fede con parole incisive, credibili, che raggiungano tutti. Ricominciando a cercare Dio, dalle tracce più semplici, all’interno della storia degli uomini.
Un domani, quando si scriverà la storia del Coronavirus, non si potrà non dedicare qualche pagina anche ai suoi “risvolti” religiosi. E cioè, le ripercussioni che questa sciagura planetaria ha avuto sulle Chiese, sulle religioni, sulle loro pratiche rituali; e, a più forte ragione, sulla vita spirituale dei credenti, sulla loro stessa fede. Basti pensare alla profonda inquietudine che tante persone hanno avvertito nel doversi confrontare con una realtà, la morte, che avevano esorcizzato, accantonato, e adesso si ritrovavano davanti, concreta, visibile, paurosa. Per alcuni, può essere stata l’occasione per guardarsi di nuovo dentro, e riascoltare quella voce che da tempo avevano messo a tacere o volutamente ignorata. Altri, specialmente i giovani, dall’autocoscienza più fragile, potrebbero invece restare in preda all’angoscia, all’incertezza, e perdersi nel vuoto interiore, nella solitudine.
E’ cambiato il mondo, dicono tutti. Ma, prima ancora, sta cambiando l’uomo. Un uomo che vuole essere padrone assoluto della propria libertà, ma, schizofrenicamente, é sempre più dimentico dei suoi valori, del suo destino. Limitiamoci però a guardare quel che è successo in casa nostra, nell’ambito cattolico. E c’è subito da fare una constatazione, davvero sorprendente. Ovvero, la pandemia, con le sue drammatiche emergenze, ha fatto scoprire straordinarie figure di cristiani. Parliamo di medici e di infermieri, i quali, specialmente in questo periodo, hanno praticato la carità non solamente come dovere professionale, e neppure solo come solidarietà, che pure è un grande valore cristiano, ma nel senso della gratuità assoluta del Vangelo.
E, come loro, ci saranno tanti altri laici cristiani, i quali ogni giorno, nelle loro professioni, con le loro competenze, testimoniano la Chiesa “in uscita”, la rendono presente nel mondo. Dunque, laici, come notava giustamente un teologo, Roberto Repole, e non solamente vescovi, preti e religiosi. Si potrebbe perciò dire che proprio da lì, da quella terribile tragedia, sia cominciata ad emergere la vera eredità del Concilio Vaticano II, ossia una fede nuovamente incarnata nella vita, nell’umano. Una eredità rimasta coperta, nascosta, dalle tante riforme istituzionali, fatte soltanto dai chierici, e che spesso riguardavano soltanto, o in primo luogo, i chierici.
Ma poi maturata pian piano, questa eredità, in molte coscienze, nella concretezza di molte esistenze. Cristiani che vivono la fede nelle pieghe della vita quotidiana, ordinaria, normale. Perché, sì, esiste una “normalità” della fede, che non sempre viene riconosciuta ed apprezzata; ma che, pur attraverso una testimonianza silenziosa, sa dare frutti immensi, rigogliosi. E che contemporaneamente si traduce in una religiosità, dove regole da rispettare e responsabilità da esercitare vanno d’accordo, si integrano. Dimostrando così come l’essere cristiani non sia una “sovrastruttura”, un di più che si aggiunga all’esistenza umana; e neanche un qualcosa di diverso rispetto all’essere donne e uomini, coscienti di avere una propria dignità, inalienabile, ma anche un proprio compito – piccolo o grande, non importa – in ordine alla costruzione del bene comune.
Purtroppo, c’è anche, molto più diffusa e molto meno positiva, un’altra realtà che il Covid ha fatto venire a galla. All’inizio, di fronte alla crescente e devastante vastità del male, c’era stata comunque una forte reazione, un gran fervore. Anche solo per farsi coraggio. Anche solo per non perdere la speranza. La gente esponeva la bandiera nazionale; c’era chi suonava e cantava sui balconi. I parroci celebravano la Messa per via digitale, o all’aperto, da un terrazzone, al centro del quartiere, con i fedeli alle finestre. Insomma, l’emergenza sanitaria sembrava aver fatto scattare l’emergenza spirituale. Ma non era esattamente così. Ai primi segnali dell’indebolirsi della minaccia pandemica, è subito rallentata la ricerca di “conforto” spirituale. Ricerca che del resto, come segnalava una indagine dell’Università statale di Milano, si era registrata solamente tra “coloro che già mostravano una sensibilità religiosa”.