Non avrei dubbi nel collocarlo al primo posto tra i vizi capitali.
È diverso dagli altri perché la sua espressione non dipende dalla volontà ma dalla incapacità di resistere al suo attacco: il sangue mi sta dando alla testa e annebbiandomi la mente, l’ira minaccia di travolgermi recita l’Otello di Shakespeare.
Si manifesta quasi istintivamente, incontrollabile, impetuosa, impedisce di ragionare, muove autonomamente i nervi e genera atti inconsulti di violenza su cose e persone, verbali e sovente anche materiali; è una sorta di forza esplosiva che promana direttamente dal corpo all’innescarsi della reazione.
Necessita di un tempo di ricaduta, variabile in relazione all’intensità ed alla capacità di assorbimento. In maniera analoga alle leggi della fisica che governano l’esplosione dei materiali.
E allora dov’è il peccato se il processo è interamente dipendente dalla natura e non è governabile se non in un tempo successivo alla sua manifestazione?
Nella volontà, come gli altri vizi capitali.
Innanzitutto, nella ricerca di evitare situazioni che danno luogo all’esplosione dell’ira: porsi volontariamente e, spesso, deliberatamente in condizioni che quasi certamente provocheranno la reazione incontrollabile non solo non aiuta ma è già di per sé un elemento di colpa, anche giuridicamente rilevante.
Ma lo sforzo di volontà deve rivolgersi non solo ad evitare in anticipo di trovarsi in condizioni da cui possa nascere l’attacco d’ira ma anche a governare la pulsione emotiva prima che diventi incontrollabile ed in questo la volontà può essere efficacemente governata dall’intento: quali conseguenze ci prefiguriamo alle nostre azioni? Basta interrogarsi preventivamente su questa banale visione per essere già in avanzato cammino sulla strada giusta. Spesso è il caso di dire ci lasciamo andare perché in fondo ammettiamo ed accettiamo le conseguenze negative della nostra azione, astenendoci dal dare vigore a quella forza, altrettanto naturale, che contrasta le conseguenze dell’esplosione dell’ira. È come dire che la bomba crea danni per effetto dell’esplosione e quindi bisogna accettarli; ma chi ha lanciato la bomba e con quale fine?
Nella valutazione dell’ira dobbiamo capire che la bomba siamo noi: il nostro sistema nervoso, al momento dell’innesco, genera la reazione incontrollata ed incontrollabile che comporta le conseguenze, che magari non vogliamo. Se addirittura le vogliamo allora esuliamo anche dalla colpa per sconfinare nel ben più grave dolo premeditato che certamente va condannato come atto consapevolmente voluto e per ciò solo meritevole di castigo, con obbligo di riparazione dei danni provocati.
Ma anche se non ne vogliamo le conseguenze la responsabilità sta nella mancanza di prudenza nella valutazione di una nostra possibile reazione inconsulta e nel non aver evitato di trovarci in quella condizione: quindi, mancanza di volontà, assenza di attenzione e vigilanza, scarsa presenza a se stessi.
Ma c’è di più, per cui l’ira è un peccato capitale: evitare di trovarsi in situazioni che possano far degenerare la nostra reazione ad un evento, una parola, un gesto, una visione sicuramente aiuta ma non basta da sola, poiché può capitare o di non aver adeguatamente valutato preventivamente la situazione oppure che le condizioni si sono determinate improvvisamente. E allora si comprende che la capacità di prevedere ed evitare non può bastare da sola ma occorre ben altro sforzo di volontà in modo da piegare la reazione incontrollata e le sue conseguenze poiché lo sforzo della volontà deve essere quello di andare incontro all’altro: a chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello non rifiutare la tunica (Lc. 6,29) è un invito a non reagire all’offesa lasciandosi andare all’ira ma a controllarla con l’unico strumento di cui dobbiamo disporre che è l’amore.
È la compassione che ci avvicina all’altro che sbaglia e che apre non solo la nostra mente ma anche quella di chi ha sbagliato e che ci consente di evitare non solo le conseguenze ma anche l’insorgere dell’ira. Questo è il peccato: la mancanza di amore, la mancanza di compassione, il freddo gioco della reazione. Va bene per le cose, non per le persone.