Nel corso dell’ultimo Concilio Vaticano II (1962-1965) tra i tanti argomenti e temi trattati da tutti i partecipanti, quasi 2500 tra cardinali, patriarchi e vescovi e superiori dei vari ordini religiosi, provenienti da tutto il mondo, sicuramente uno dei più importanti è stato quello relativo alle modifiche e di conseguenza al cambiamento della liturgia. Nel documento “Sacrosantum Concilium” si sono poste le basi per un profondo rinnovamento della liturgia, con lo scopo preciso di far partecipare in modo attivo i fedeli coinvolgendoli nelle preghiere e nelle celebrazioni. Questo prezioso e singolare documento era stato preparato nel tempo da un vasto movimento liturgico e dall’enciclica di Pio XII (1939-1958) “Mediator Dei” del 20 novembre 1947.
Basta andare indietro nel tempo per ricordare che il sacerdote celebrava ogni tipo di cerimonia dando le spalle ai fedeli, i quali non sempre seguivano attentamente l’introduzione, la liturgia della Parola, l’Eucaristica e i riti di conclusione, della messa. Così leggiamo nel “Sacrosanctum Concilium”: “Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio”.
Con la riforma voluta dai “padri conciliari” si decise pertanto di modificare gli altari delle chiese, in modo che tutto il popolo potesse vedere e ascoltare il celebrante, i messali vennero tradotti nelle lingue moderne, prima gli stessi erano scritti solo in latino, in maniera tale che tutti potessero comprendere le letture dei testi sacri: quelle dell’Antico e del Nuovo Testamento. I fedeli lasciano così il ruolo di “spettatori”, muti ed estranei, per essere e diventare finalmente, potremmo dire dei fedeli che partecipano attivamente.
“Dopo il Vangelo e l’omelia, specialmente la domenica e le feste di precetto – si legge ancora nel Documento – sia ripristinata la ‘orazione comune’ detta anche ‘dei fedeli’, in modo che, con la partecipazione del popolo, si facciano speciali preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo”. Naturalmente a dare un maggiore impulso a questa riforma liturgica, contribuì Paolo VI (1963-1978) che il 7 marzo 1965, in occasione dei 25 anni dalla morte di Don Luigi Orione (1872-1940) recandosi nella parrocchia romana di Ognissanti nel quartiere Appio-Latino, celebrò la prima messa in lingua italiana.
Fu quella l’occasione per tutti i presenti, parrocchiani e fedeli, di sentirsi proprio una vera comunità, che prega nella propria lingua, insieme al celebrante, in questo caso, il celebrante era addirittura il Vescovo di Roma.
E dopo la lettura del Vangelo, Paolo VI, iniziò l’omelia rivolgendosi ai fedeli che gremivano la chiesa: “Straordinaria è l’odierna nuova maniera di pregare, di celebrare la Santa Messa. Si inaugura, oggi, la nuova forma della Liturgia in tutte le parrocchie e chiese del mondo, per tutte le Messe seguite dal popolo. È un grande avvenimento, che si dovrà ricordare come principio di rigogliosa vita spirituale, come un impegno nuovo nel corrispondere al grande dialogo tra Dio e l’uomo. ‘Il Signore sia con voi!’ Norma fondamentale è – ha proseguito il pontefice – d’ora in avanti, quella di pregare comprendendo le singole frasi e parole, di completarle con i nostri sentimenti personali, e di uniformare questi all’anima della comunità, che fa coro con noi”.
Queste novità, riguardanti la liturgia, furono accolte positivamente dai fedeli, abbattendo le barriere linguistiche era più naturale partecipare a tutte le funzioni religiose. Ricordiamo che le precedenti celebrazioni in lingua latina non erano facilmente comprensibili, anche perché lo studio della lingua latina, non era accessibile a tutti i ceti della società; e soprattutto le persone più anziane, partecipando alle varie celebrazioni, “storpiavano” le stesse parole latine.
Le parole dell’abate benedettino Salvatore Marsili (1910-1983) ci fanno comprendere che: “La liturgia è anch’essa, come Cristo stesso, un avvenimento di salvezza, nel quale continua a trovare compimento quell’annunzio, che nel tempo antico prometteva la realtà di Cristo. La liturgia è il momento sintesi della storia della salvezza perché congloba annunzio e avvenimento ossia Antico e Nuovo Testamento, ma allo stesso tempo è il momento ultimo della stessa storia, perché essendo la continuazione della realtà, che è Cristo, suo compito è quello di ultimare gradualmente nei singoli uomini e nell’umanità la immagine piena di Cristo”.