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Un cimitero di guerra: vite spezzate indimenticabili

Per odiare la guerra bisogna visitare un cimitero di guerra. L’estate scorsa, per un voto, con mia moglie, ho fatto a piedi, di notte, il cammino da Loreto ad Ancona. Una impresa da non ripetere: pericolosa per i tanti camion che ti passano accanto nella notte.

Siamo partiti dopo cena e siamo arrivati verso le cinque del mattino a Loreto. Giunti alla Scala Santa mia moglie si è fermata ed io ho continuato facendo faticosamente le tante scale in salita. Verso la metà del percorso ho visto il cimitero di guerra polacco e sono entrato. Tante croci bianche, ordinate.

Mi sono avvicinato. Su ogni croce il nome di un ragazzo venuto a morire dalla Polonia in Italia. Ragazzi più giovani dei miei figli a cui è stata rubata la vita e che riposano a migliaia di chilometri dal proprio Paese. Questo è la guerra. Morire, e quando va bene essere seppellito in terra straniera. Perché quando va peggio il corpo neanche si potrà ritroverà. E neanche una croce indicherà il suo sacrificio, a segnare la sofferenza di un uomo e di una famiglia.

La famiglia di mio padre nell’ultima guerra ha donato quattro giovani al Paese. Tre suoi fratelli riposano al cimitero di Porto Sant’Elpidio, mentre uno di loro è stato dichiarato “disperso”. Una piazza, ove probabilmente giocavano i fratelli D’Angelo bambini, non molto lontana dalla loro casa, è stata intitolata a loro.

A causa della guerra la famiglia di mio padre è stata distrutta. Come tante altre famiglie di quella che chiamiamo Europa, che in lingua greca significa “sole che tramonta”. Altri dicono che il nome deriverebbe dalla parola semitica ereb, “occidente”, con cui i fenici (1500-600 avanti Cristo circa) avrebbero indicato tutti i Paesi a ovest degli attuali Siria e Libano.
Quanti uomini dovranno ancora morire perché l’uomo impari la lezione? Ed i bambini, le donne, gli anziani sepolti sotto le proprie case bombardate?!

Ci stanno abituando alla guerra. Tanta povera gente muore, altra si arricchisce, altra decide per chi non può decidere tra la vita e la morte. Alle recenti elezioni europee ho votato un Partito che, nel proprio programma, era contro la guerra. Auspico che si riuniscano i Consigli di pace e non di guerra!

Chi parla di guerra come rimedio dei conflitti tra le genti, vada in un cimitero di guerra e porti un fiore – se ci riesce – sulle centinaia di tombe ordinate e silenziose di tanti giovani a cui è stata rubata la vita.

E se abita nelle Marche vada al Camposanto di Porto Sant’Elpidio, ove gli indicherò le tombe dei quattro fratelli di mio padre, caduti in guerra. In una di queste tombe c’è solo il nome perché zio Marino risulta “disperso”.

Ricordo ancora le parole di Nonna Lucia – avevo dieci anni – quando disse all’Ufficiale che gli riportava in una cassetta le ossa di zio Italo, morto a Tobruk: “Ho dato dei giovani alla Patria e mi vengono restituite delle ossa”. Questo è la guerra.

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