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Le cicatrici del 2020 sui nostri figli

L’anno è appena terminato. Si respira nell’aria una voglia di cambiamento, di rivalsa, di nuovo, com’è giusto che sia.

Abbiamo vissuto per il Covid momenti tra i più drammatici della storia recente. I più colpiti dal virus sono stati gli anziani. La loro perdita segna un vuoto di saggezza di cui tuttora non ci rendiamo totalmente conto.

L’anno appena terminato ha, inoltre, profondamente segnato i nostri figli. Il lockdown forzato è stato caratterizzato da scuole chiuse, bambini e ragazzi rimasti in casa. Tale sacrificio ha posto numerosi problemi, anche se non allo stesso modo per tutti. In alcune famiglie si è potuto godere di ampi spazi per ovviare alle restrizioni; in altre si è vissuto in trenta metri quadri e anche meno. Le reazioni sono state e sono, quindi, le più varie e differenziate.

In tutti gli ambienti si è dovuto spiegare ai bambini come, durante il lockdown, non sia possibile uscire, andare a scuola, giocare e svolgere tutte le attività previste. Così è accaduto a tanti di vedere il mondo esterno come una minaccia. Non solo. La mancanza della quotidiana e consueta routine, fondamentale nella fascia evolutiva infantile/preadolescenziale, ha costituito un vuoto enorme che ha potuto e può indurre i bambini e i ragazzi a non ritrovare la propria identità e a perdere sicurezza.

L’assenza del gioco condiviso ha spesso creato assenza di confronto e li ha privati del momento di socializzazione. Sono infatti in aumento nei bambini i disturbi del sonno, quelli legati alla regolazione emotiva, gli atteggiamenti e i comportamenti oppositivo-provocatori, come quelli passivo-aggressivi, l’irascibilità diffusa, l’altalena emotiva e il basso tono dell’umore.

In tale contesto non edificante giocano un ruolo positivo la flessibilità e la plasticità del cervello del bambino, che “trascende” la difficoltà, riadattandosi velocemente benché le scorie rimangano nel tempo e possano trasformarsi in difficoltà. Per tale motivo è molto importante il monitoraggio genitoriale (o dei caregiver). I genitori hanno perciò il compito di favorire, nei limiti del possibile e in sicurezza, lo svolgersi delle varie attività, qualsiasi sia la modalità.

È affidato a loro il difficile compito di seguire i propri bambini negli incontri scolastici, di catechismo, di palestra e di usare, se possibile, con loro il computer anche per i giochi che destano maggiore interesse come, ad esempio, quello dei trucchi per le bambine, dei giocatori di calcetto per i maschietti e via dicendo. I bambini avranno, così, garantita la possibilità di esplorazione e di scoperta dell’altro, caratteristica, quest’ultima, fondamentale per vivere l’interazione sociale e per avere una cornice esperienziale che parli di relazione, in cui l’altro da sé venga visto, sperimentato, vissuto appieno come compagno di gioco ed amico.

Per quanto concerne gli adolescenti e i giovani in questa difficile fase di chiusura e limite di libertà, sono in corposo aumento le dipendenze da smartphone, i disturbi d’ansia generalizzata e dell’umore, così come gli attacchi di panico o l’isolamento. Un incremento esponenziale è quello riguardante il cyberbullismo, ovvero il bullismo in rete, via web. Tra i dati più allarmanti c’è quello legato all’idea di futuro. Secondo importanti ricerche (associazione DITE), su circa 7.000 ragazzi, il 40% non riesce a progettare il futuro.

Questo è il dato che più mi colpisce e più mi preoccupa, legato com’è anche a problematiche economiche sempre più rilevanti ed invalidanti. La vita sociale sembra inseguire la fine del Covid, per poter vivere un nuovo inizio, una nuova fase, che corrisponda ad un migliore proseguimento della propria vita. In tale ottica, è difficile trovare ed individuare il giusto antidoto.

Un ottimo vaccino sembra essere quello suggerito da Papa Francesco che ci ha ricordato come al vaccino anti-Covid vada affiancato quello del cuore. Iniettarlo non è difficile come potrebbe sembrare. Bisogna iniziare a vedere nell’altro non un possibile “untore di coronavirus” ma un possibile “untore di vita” in modo da contagiarsi reciprocamente nella relazione interpersonale.

È importante ricominciare a guardarci ricordandoci che prima di essere in una pandemia mondiale, siamo parte di un’umanità globale che può diventare capace di fronteggiare la situazione, se cerca di guardare oltre il problema, per individuare prospettive di significato “altre”. Per farlo abbiamo bisogno di adulti responsabili. Noi genitori dobbiamo rilanciare la bellezza della vita nella relazione con i nostri figli, diventare capaci di dare loro entusiasmo e fiducia.

Non possiamo stare fermi ed auto-compiangerci per ciò che non va. È poco costruttivo, semplice, troppo superficiale. Il dolore e la sofferenza vanno contattati sintonizzandosi sulle vie della crescita post-traumatica. Non c’è morte, non c’è trauma, che non consenta una possibile installazione di risorse positive nell’ottica del rilancio.

Noi genitori dobbiamo essere capaci di entrare in contatto con il mondo dei ragazzi. Non chiediamo soltanto: “Com’è andata la giornata?” ma soffermiamoci a domandare: “Come sono andate le ore che hai passato sul web?”. E ancora: “Cosa ti piace nell’aver svolto ripetutamente quel determinato gioco? Mi racconti così lo capisco? Ogni tanto posso stare qualche attimo per capire cosa si prova? Fammi vedere, insegnami!”.

Prima di giudicare dobbiamo conoscere. Se raggiungeremo questo livello, saremo in grado di avere una maggiore alleanza con i nostri figli, magari ci divertirà anche provare a giocare con loro. In quegli istanti, in quei momenti di gioco si potrà creare un “segmento” di dialogo che nessun confronto preimpostato, che nessun sermone preparato accuratamente può sostituire. Infatti, in quel momento siamo alla pari nel gioco, pur rimanendo nell’autorevolezza del nostro ruolo, e agganciamo i nostri figli. Loro ci vedono in una veste diversa e diventano predisposti ad accogliere l’altro e a volgersi all’oltre alla cui scoperta tentiamo di indirizzarli. In quel momento si crea una sfera di relazione che ha dell’unico, dell’irripetibile e che non va sprecata.

La sfida più grande del 2021 è proprio la relazione.  Al principio di ogni disagio c’è una relazione mancata, un dialogo mai iniziato. Dobbiamo curare l’incontro con l’altro, sia esso de visu o in presenza. Quando stiamo con l’altro, dobbiamo essere capaci di ascoltare davvero il nostro interlocutore. Se lo faremo, saremo certamente più sintonizzati con chi abbiamo dinanzi e l’altro lo percepirà, il giovane più di tutti.

Se sarà così anche da parte del nostro interlocutore, avremo creato il “noi”, la base più sicura nella società dell’ “io” ad ogni costo. I giovani hanno bisogno dell’altro e spesso il loro rifiuto della nostra presenza è solo un volerci far capire che esserci non significa rimproverarli e diventare pesanti e “ingombranti”; significa soltanto accettare di far parte della loro vita nell’attesa silenziosa e paziente dei momenti in cui per loro diventa necessario non trovarsi soli e sentirsi ascoltati.

Da giudici impazienti dobbiamo trasformarci in persone capaci di ascolto. Il Covid ha mietuto tante vittime. Dopo l’esperienza vissuta a causa di questo virus letale, possa ora nascere di nuovo, in chi l’aveva dimenticata, la capacità di guardare l’altro negli occhi, di ascoltarlo e di incontrarlo davvero.

Che nel 2021 vinca, quindi, il vaccino anti-covid, attraverso il vaccino del cuore come ha suggerito Papa Francesco, nella sfera sana e immancabile del “noi”. Dobbiamo ritrovare la passione e il fervore della e per la relazione, una relazione che deve diventare autentico incontro. Il vero augurio è quello di riuscire a ritrovare tale forza e tale entusiasmo.
Potremmo cambiare il mondo!

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