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Ecco gli errori di chi descrive una Chiesa in crisi

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All’improvvido intervento sul Corriere di qualche giorno fà sulla prossima fine della Chiesa per la supposta cecità del suo pilota hanno fatto seguito diverse risposte che piuttosto che denunciare allarmi o indignazioni hanno dato la giusta misura all’infelice libello dell’autore, criticandone le capacità di analisi e la lucidità argomentativa.

Mi ha fatto piacere leggere, tra queste, il secondo intervento di un giovane docente di filosofia teoretica, lucido nell’analisi, pacato nei toni, sicuro nella critica con cui ha spiegato all’autorevole storico di non aver centrato l’obiettivo, forse malfermo sulle idee, complice l’età, nel tentativo di segnare un punto a favore dell’ideologia di potere.

Gli errori dello storico sono stati evidenziati a sufficienza, in particolare sulla secolarizzazione, sulla confusione tra il popolo e la sua guida e, segnatamente, sul percorso di rinnovamento della Chiesa che ha caratterizzato la nostra epoca: il critico ha avviluppato lo storico nelle maglie della serrata evoluzione del pensiero occidentale post hegeliano dimostrandone, prima ancora che gli errori, la sua sostanziale inconsapevolezza.

A me preme aggiungere una parte che ho già svolto nel commento a caldo e che qui so non trovarmi allineato con il pensiero filosofico esposto: l’uomo supera la propria ragione, che la fisica recente ha dimostrato fallace, mentre la neurologia si è ingabbiata nell’acriticità delle sinapsi; la responsabilità proposta da Jonas dimostra il superamento dell’etica formale con i contenuti, proprio poiché tiene conto degli aspetti relazionali nel dover essere dell’essere. Da qui il passo al popolo in cammino è breve, argomento ignorato nella critica alla guida della Chiesa, puntualmente evidenziato nel commento all’infausto intervento. Ma l’efficacia del magistero petrino nelle sue acclamate contraddizioni, che sfugge ad un’attenzione superficiale, si pone invece in tutta la sua visione innovativa sol che si consideri – da ultimo – i due interventi sulla fratellanza e sulla famiglia, segno dell’attenzione alla sacralità di questi due momenti essenziali dell’umanità, ad onta delle banali questioni di bottega che una visione miope, se non distorta, cerca di propalare.

Si sostiene la crisi del cristianesimo e la fuga dalla liturgia laddove personalmente constato l’esatto contrario attraverso una rivitalizzazione della Parola, frutto non solo degli approfondimenti che la rivoluzione curiale ha attuato, non certo nel segno della contestazione ma proseguendo il percorso tracciato dai suoi autorevoli predecessori, adattata alla visione pastorale del nuovo Ministro, ma anche della fuga delle persone dalle banalità e dalle ostilità dei disvalori che hanno caratterizzato la cultura tecnocratica e mercantile degli ultimi decenni: il rifiuto, sempre più diffuso, della omologazione a tali simulacri ha determinato la recente svolta antidemocratica travestita da emergenza.

Chi ha osservato aveva intuito la fine di certe posizioni dominanti, non più in grado di sostenere il crescente dissenso e la risposta non si è fatta attendere, ovviamente con gli strumenti a disposizione; frugando nel passato si trovano esempi analoghi.

La verità è che si cerca di attribuire alle proprie finalità il pensiero altrui per avvalorare, talvolta davvero con salti logici più che pindarici, idee che nulla hanno a che vedere con il messaggio di cui ci si pretende di ammantare e questo fenomeno diffusissimo tra chi è a corto di argomenti, si è rivelato un boomerang formidabile a proposito dell’uso che certi pensatori hanno voluto fare delle manifestazioni del Santo Padre; gli esempi sono innumerevoli e l’incauto storico ne ha citato qualcuno lamentando che i comportamenti successivi non sono stati consequenziali, senza però dubitare della sua manipolazione del pensiero autenticamente espresso, non saprei se per scarsa visione o indomita iattanza.

Vero è che per attaccare un’Autorità morale così elevata occorre avere non dico la stessa impossibile posizione ma provenire da una maturazione di consensi consolidati nel tempo e col tempo, non certo ridurlo ad un capo politico di cui siamo abituati a vederne i limiti, di recente molto più evidenti.

L’uomo non ha bisogno della religione, l’uomo è la religione, poiché gli è stata rivelata.

Roberto de Tilla: