Vorrei ricordare il mio babbo, Carlo Casini, osando, con trepidazione, affacciarmi appena appena, in punta di piedi, in quella dimensione intima che ha dato senso e motivazione al suo vorticoso e totalizzante impegno sociale, culturale, giuridico, civile e politico, soprattutto nella difesa della vita umana. Per lui, “dal concepimento” non era una formula e “uno di noi” non era una etichetta, ma l’espressione più alta del principio di uguaglianza, la prima pietra per la costruzione di un umanesimo nuovo, l’angolo di visuale che consente di vedere nella giusta prospettiva tutta la convivenza tra gli uomini, la fonte di ogni solidarietà e accoglienza nei confronti di tutti gli ultimi, il principio del rinnovamento morale, civile e politico, il fondamento dei diritti umani, il punto di forza per comprendere il significato della famiglia, il presupposto della pace.
Questa genuina e appassionata vocazione laica, che lo ha travolto e che ci ha travolti anche come famiglia, non spiega, però, fino in fondo le ragioni del suo dono totale, della sua immolazione.
In una lettera a un amico sacerdote scrisse che per lui l’impegno per la vita era «l’impegno per l’amore di Dio che si materializza in ogni nuovo essere umano che compare nell’esistenza, fino alla fine». Ricordo di aver letto in qualche suo scritto che per lui l’impegno per la vita equivaleva a stare in ginocchio di fronte al Padre della Vita. Ha sempre cercato Colui che della vita umana è il donatore, il senso, l’origine e il fine. In una sua relazione tenuta a Buenos Aires nel 1999 ha detto: «Sono certo che non vi è nulla di più profondamente umano del bisogno di infinito e di amore. La disperazione nasce dalla solitudine teologica, cioè dall’eclissi del senso di Dio. Ma Dio di fatto è presente nel cuore di ogni uomo e per scoprire il senso della vita anche nella sofferenza bisogna ultimamente ascoltare la sua voce». Giovane magistrato e sposo, scriveva, nell’ottobre del 1965, in un quaderno di esercizi spirituali: «Tutta la giornata deve essere preghiera, ma ci sono dei momenti in cui il colloquio con Dio non deve essere solo potenziale e incosciente, ma deve divenire effettivo e consapevole. Non è certo tempo perso quello dedicato alla preghiera per chi crede ai destini soprannaturali del proprio essere. Anzi, si può anche pensare che non è possibile un concreto progresso spirituale senza questo quotidiano sacrificio del proprio tempo. E per chi pretende una vera maturità intellettuale e un’ampia capacità apostolica, il “tempus orandi” deve essere qualcosa di esteso e profondo».
Era immerso nella storia e nel tempo con uno sguardo contemplativo. Era pienamente “nel mondo”, ma non era “del mondo”. Era come se fosse abitato da una luce che gli consentiva di vedere la realtà nella sua vera profondità ed essenza, come se vedesse le cose nella prospettiva di Dio. Nella vita umana ha visto l’opera di un’«intelligenza creatrice che è amore e chiama all’amore» e nell’abitazione del figlio nel grembo della mamma «il più intimo e duraturo degli abbracci», «segno che tutta la vita umana è posta sotto il sigillo dell’amore». Per questo con tanta naturalezza diceva e scriveva, col tono della meditazione stupita e gioiosa, che ogni figlio che comincia a esistere è «creazione in atto», «il vero “big bang”», «capolavoro della creazione», «senso dell’universo», «frutto della fatica dell’universo, dello spazio e del tempo, dell’evoluzione e delle generazioni», «meraviglia delle meraviglie», «miracolo che si verifica nella ferialità della vita comune», «concentrato di speranza», «freccia di speranza lanciata nel futuro», «senso della storia», «parola d’amore di Dio», «speranza di Dio. Tutta intera, incontaminata, non tradita». «Bisogna agganciarsi, – scriveva nel 2009 – forse ripartire dalla meditazione sull’uomo per recuperare quel senso del tutto, quel senso del mistero che circonda l’uomo, in una dimensione religiosa, ma anche profondamente umana». Il babbo questa meditazione sull’uomo l’ha fatta davanti all’estrema povertà dell’uomo che comincia ad esistere e l’ha vissuta radicalmente, anche nel tempo della malattia. E forse è proprio per questo che ha potuto scrivere «Di un Amore Infinito possiamo fidarci», frase che abbiamo voluto far incidere sulla sua lapide, a Soffiano.
Questa luce che lo abitava gli faceva vedere, come lui stesso ha scritto, che sul terreno della vita umana «il livello della lotta è più alto di quello umano e terrestre, perché il confronto si svolge a livello metafisico, nel cuore stesso del mistero di Dio, dove Cristo si immedesima nell’uomo» e dove si svela che il «mistero dell’Incarnazione è il mistero dell’Infinito che si fa finito; dell’Amore senza limiti che condivide totalmente la condizione dell’uomo». Aveva ben chiaro che insieme alla vita dell’uomo è coinvolta la paternità di Dio con il suo disegno di amore e aveva sperimentato che «chi si impegna per la vita incontra spesso una forza nemica fascinatrice e attentatrice che semina la menzogna nelle menti e la paura nei cuori. Talora essa sembra invincibile. Soccorre anche qui la parola di Gesù: “Senza di me non potete fare nulla; io ho vinto il mondo”». Era, perciò, persuaso che «le parole, le argomentazioni, le prove scientifiche, i dibattiti, le conferenze e i libri, sono utili, ma non sono risolutivi. Il diritto alla vita vincerà nella condivisione, nello “spezzare il pane” di una intera comunità. Ciò richiede una forza, una tenacia, una convinzione, che solo l’Eucarestia può dare».
Era anche uomo di gioia e di speranza. È sempre lui che scrive: «La gioia cristiana è come un canto intimo che nasce dalla Speranza. È quindi di natura soprannaturale […] E questa gioia non concerne soltanto la realtà ultramondana, ma concerne le cose di questo stesso mondo, che io vedo con altri occhi […] Sul piano pratico, quindi, ritengo che la mia vita debba avere un volto sereno, gioioso, tanto più quanto più essa sarà immersa nella sofferenza. Si dovrà trattare però di una serenità non fatua, ma consapevole, aperta agli altri e ai loro problemi, pronta a offrirsi agli altri come conforto, pronta al sacrificio e pronta ad accettare e valorizzare la vita nei suoi aspetti positivi e sublimandoli».
Sono questi alcuni tratti, appena accennati, del suo profilo spirituale, che vanno ad aggiungersi ai più noti profili del magistrato, dell’uomo politico, del leader del Movimento per la Vita. Lui che si è fatto tutto a tutti continua a essere per tutti una risorsa. Noi figli – desidero ricordare anche Francesco, Donatella Marco, Benedetta, Donato – insieme alla mamma, siamo felici di aver condiviso con lui questo cammino e vogliamo custodire al meglio il suo pensiero, profetico e lungimirante, per diffonderlo e farlo diventare sempre più patrimonio di tutti. Sì, perché in fondo tutti siamo eredi di una storia che deve continuare e abbiamo ancora bisogno che il babbo ci guidi e ci accompagni.