Il termine caregiver indica colui o colei che assiste una persona non autosufficiente nell’attività quotidiana e in ogni momento di difficoltà. Fa parte di un esercito silenzioso, costituito per oltre il 70% da donne. In Italia si parla di famigliare assistente ed è una figura eroica che si destreggia ogni giorno fra diversi impegni, cercando di occuparsi, non solo della persona con disabilità, ma anche di mantenere l’equilibrio di tutta la famiglia con grande amore e dedizione. Secondo i dati dell’Istat, in Italia, i caregiver sono oltre sette milioni e, molti di questi, spesso, devono occuparsi del loro congiunto con fragilità per ventiquattro ore al giorno. Ciò spesso impedisce l’esercizio di qualsiasi attività lavorativa all’esterno della famiglia, provocando a volte molto stress psicofisico. Tale figura racchiude però in sé molto amore che sa dare senza chiedere ed è il pilastro su cui, seppur con difficoltà, si fonda la famiglia, l’amore oblativo.
Un aspetto che si considera ancora poco in merito a questa figura fondamentale è l’invecchiamento del caregiver. Quando si va avanti con gli anni e si diventa anziani, le energie diminuiscono e si tende a rinchiudersi sempre di più nell’ambito domestico, riservando le forze residue alla cura del proprio familiare con disabilità e sacrificando spesso ogni altro aspetto della quotidianità e della vita famigliare.
Su questo tema serve subito una risposta efficace da parte delle istituzioni competenti, non solo per quanto riguarda le persone con disabilità, ma per la famiglia intera, affinché la stessa, possa essere adeguatamente coadiuvata e preservata, sia nel compito di assistenza ma anche nei confronti della vecchiaia che giunge. Nessuno deve essere lasciato solo e, per fare ciò, bisogna attuare in maniera più concreta il concetto di presa in carico che deve essere collegiale e inclusivo.
La tutela delle fragilità, che in questo caso sono due, disabilità e terza età, deve essere svolta a 360 gradi. Non ci possiamo permettere di lasciare indietro nessuno. Dobbiamo riconoscere l’eroismo di queste persone attraverso atti concreti che si devono tradurre in investimenti più congrui in materia di welfare e contestuale riconoscimento economico, insieme ad un’assistenza sanitaria e sociale degna che deve avere come punto focale la tutela di chi si trova in difficoltà, qualunque esse siano. Non si può attendere oltre.