“La primavera intanto tarda ad arrivare”, cantava Franco Battiato qualche anno fa. Anche quest’anno, il colpo di coda dell’inverno ci ha regalato nevicate spettacolari quanto disastrose per la nostra agricoltura. Intere zone del Sud Italia sono in ginocchio. In Sicilia, specialmente tra Madonie e Nebrodi, o in Puglia, nelle province di Foggia, Bat e Bari, in Basilicata, in molti territori della provincia di Potenza, ma anche in Calabria, tra nevicate, grandine e temperature in picchiata non si contano i danni agli alberi in fiore, agli ortaggi, ai cereali. E non se la passano meglio Emilia Romagna e Veneto. Albicocchi, susini, ciliegi, mandorli, già fioriti per le temperature di febbraio al di sopra della media, ora vedono le produzioni compromesse e il rischio di perdita del raccolto anche del 30-40%. Non mancano infine le conseguenze della siccità invernale in diversi territori.
Sono brutti tempi per i nostri allevatori e i nostri agricoltori. Oramai da anni, come sindacato agroalimentare e ambientale, chiediamo alle istituzioni di rivedere seriamente le politiche per far fronte ai cambiamenti climatici e al loro impatto sul lavoro. Già, perché ad esempio, mentre i rimborsi alle imprese in caso di calamità naturali sembrano funzionare più o meno bene, la stessa cosa non può dirsi per le lavoratrici e i lavoratori, che perdono milioni di giornate di lavoro e di conseguenza, in molti casi, anche i requisiti per accedere alla disoccupazione agricola, vera integrazione al reddito per centinaia di migliaia di famiglie.
È accaduto di nuovo anche nel 2020: le lavoratrici e i lavoratori agricoli hanno continuato a garantire il cibo sulle tavole degli italiani, anche in piena pandemia, eppure sono stati colpiti in maniera nefasta dalle conseguenze del Covid19 e di diverse calamità. Pensiamo soltanto agli operai agricoli degli agriturismi, soprattutto donne, totalmente fermi da oramai almeno 6 mesi. Pensiamo poi a quelli dell’Emilia Romagna che lavoravano per imprese colpite dalla cimice asiatica, o in Puglia a quelli che hanno perso milioni di giornate di lavoro anche lo scorso anno a causa della xylella, o a quelli del comparto vitivinicolo che producevano per hotel, alberghi e ristoranti. Per non parlare di chi lavorava nel florovivaismo, affossato dallo stop agli eventi e alle cerimonie.
Per questi motivi, ci sembra ancora più assurdo che la politica si sia completamente dimenticata di loro. Infatti, lo stesso Decreto Sostegni prevede la decontribuzione per gli autonomi agricoli ma non prevede alcuna indennità per i braccianti, riconosciuta invece con l’articolo 9 ad altri lavoratori stagionali.
Ancora una volta, come accaduto con il precedente governo, i nostri operai agricoli non sono stati considerati degni di una boccata d’ossigeno di neanche mille euro, evidentemente perché considerati di serie b, o forse dei privilegiati perché, rispetto a chi è fermo dall’inizio della pandemia, hanno svolto qualche giornata di lavoro.
In questi giorni, tra l’altro, cominciano i raccolti di fragole e pesche, e già sentiamo parlare di mancanza di manodopera, perché molti stagionali hanno difficoltà e recarsi nei territori. Ma allora: come vogliamo rispondere? Rendendo ancora meno attrattivo il lavoro agricolo? Negando perfino un’indennità una tantum? Negando ancora il rinnovo dei contratti provinciali, che in molti territori continua a privare i lavoratori di reddito e tutele?
Il paradosso, è che oramai ai nostri lavoratori agricoli converrà non lavorare. Perché una persona dovrebbe spaccarsi la schiena dalle 4 del mattino, sotto il sole o la pioggia, quando si possono prendere più euro con il reddito di cittadinanza? Perché uno dovrebbe andare incontro al rischio Covid, recandosi con i colleghi sul lavoro, senza quarantena né contagio retribuiti, se stando a casa può starsene al sicuro?
Sinceramente il messaggio che continua ad arrivare dalla politica è molto ambiguo e pericoloso. L’impressione è che questo Paese rischia di schiantarsi su una profonda crisi sociale se anche il nuovo governo di unità nazionale dimostrerà di vivere su un altro pianeta, pensando a poltrone e condoni e mimando un dialogo sociale che su molti aspetti ancora non c’è.
Per questo, se non ci saranno risposte adeguate, partirà la nostra mobilitazione unitaria, con un primo presidio al Senato il 31 marzo e manifestazioni il 10 aprile davanti alle prefetture di tutta Italia.
Non chiediamo soltanto un bonus, che sarebbe comunque un riconoscimento importante, non solo simbolico, per chi ogni giorno garantisce beni di prima necessità a tutto il Paese. Bisogna agire con alcune misure di buonsenso. Come il riconoscere, per il 2020, a chi non ha maturato i requisiti per chiedere la disoccupazione agricola, le stesse giornate di lavoro del 2019. Estendere al 30 aprile i tempi per fare richiesta della disoccupazione agricola. Finanziare adeguati ammortizzatori per i dipendenti delle cooperative, cosiddetti Ex Legge 240/1984, visto che hanno perso l’accesso alla Naspi e alle misure previste nella gestione delle crisi aziendali. E smetterla, una volta per tutte, di parlare di ulteriori semplificazioni dei voucher in agricoltura, visto che l’attuale normativa e il contratto collettivo nazionale garantiscono già tutta la flessibilità possibile di cui necessitano le imprese.
A tutto questo, aggiungiamo l’urgenza di un ammortizzatore sociale strutturale per i nostri pescatori, che perdono sempre più giornate di lavoro per via delle normative europee sul fermo pesca, e di rinnovare il contratto dei forestali, scaduto da oramai 9 anni.
Insomma, ce n’è abbastanza perché i lavoratori, davanti a una politica sorda, perdano la pazienza. In centinaia ci scrivono ogni giorno, in migliaia ci stanno chiedendo di partecipare alla mobilitazione, che però per ovvi motivi dovremo saper gestire rispettando le limitazioni imposte dalla pandemia. Vorremmo volentieri evitare, in un momento difficile come quello che tutti stiamo vivendo, che il Governo sottovaluti il malessere crescente tra chi si sente dimenticato. E che le tv italiane continuino a parlarci di quanto è bello il nostro Paese e quanto è importante l’agroalimentare, senza riservare alcuna attenzione a chi, ogni giorno, tiene in piedi quella bellezza e tutte le filiere del settore.