Come ogni settembre, il riavvio dei lavori in studio dopo la pausa estiva prevede che l’agenda si trasformi in un set degno di battaglia navale: adulti e bambini che necessitano revisioni di orario in previsione della ripresa di scuole/attività lavorative/sport, nuovi primi colloqui che vanno sistemati in modo da garantire a tutti il giusto spazio, raccordi con insegnanti e istituzioni.
Quest’anno, però, la segreteria è stracolma di messaggi di persone seriamente preoccupate per sintomatologie legate ad ansia e depressione che sono iniziate nel periodo del lockdown e non sono ancora rientrate; tra di loro non mancano nemmeno i più piccoli. Come la comunità scientifica e il CNOP (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi) avevano già annunciato da tempo e, purtroppo, confermato con gli studi nazionali (IRC San Raffaele, Gaslini, ecc.) e internazionali pubblicati negli scorsi mesi, siamo di fronte all’emersione delle conseguenze psicologiche legate alla pandemia, certamente non mortali, ma altrettanto importanti.
Lo studio uscito a giugno 2020 su The Canadian Journal of Psichiatry è piuttosto preciso: il 69% della popolazione italiana manifesta sintomi legati all’ansia, il 31% legati alla depressione, mentre il 20% ha riferito sintomi da stress post-traumatico, situazioni che, se non adeguatamente individuate e trattate, corrono il rischio di aggravarsi ulteriormente nel tempo.
Come è stato possibile?
Non è un mistero per nessuno il fatto che l’essere umano sia un “animale sociale”: siamo abituati a vivere in gruppo, a muoverci, a relazionarci e a confrontarci con i nostri simili e questo ci garantisce la stimolazione necessaria a occuparci di noi stessi e a trarre soddisfazione e benessere dall’incontro con le persone con cui ci relazioniamo. Il lockdown prolungato, gli stati di quarantena eventualmente subiti a causa di contagi diretti o indiretti, il distanziamento sociale e lo spostamento delle relazioni dirette su mezzi di comunicazione a distanza che, per quanto evoluti, costringono a passare ore e ore a parlare con uno schermo, per quanto necessari e inevitabili hanno portato alla percezione di un progressivo deterioramento delle relazioni umane sia tra persone adulte, sia tra i più piccoli.
All’isolamento si è, in molti casi, aggiunta la necessità di stravolgere drasticamente sia le modalità di dare e ricevere accudimento in situazioni di malessere (negli ospedali i parenti non possono entrare, molti medici e pediatri hanno dovuto stravolgere le modalità di accesso agli studi o a esami clinici) sia quelle legate alla gestione e all’elaborazione del lutto per la morte di amici e parenti (impossibilità di vedere la salma, sospensione dei funerali ecc.). Oltre a tutto questo, nella nostra valutazione globale del mondo, si è accesa una spia di allerta costante: potenzialmente non ci sentiamo al sicuro in nessun luogo e qualunque persona rappresenta un potenziale pericolo di contagio.
Tutto questo crea un carico di tensione costante che, nel passare dei mesi, si sta cronicizzando costantemente; la psiche di adulti e bambini è programmata per resistere senza troppe ricadute a situazioni di stress anche importanti, ma a patto che l’incolumità psico-fisica dell’individuo sia preservata e che la situazione che genera tensione non duri troppo nel tempo. A oggi siamo a 7 mesi dall’inizio ufficiale della pandemia mondiale e non se ne può prevedere una conclusione certa o a breve termine; abbiamo decisamente superato i nostri limiti di sopportazione.
Quali sono i sintomi e quando chiedere aiuto?
I sintomi sono gli stessi a cui il CNOP ha suggerito di prestare attenzione fin dai primissimi mesi e sono sufficientemente riportabili a grandi e piccini; i più comuni sono: la presenza di pensieri ricorrenti e preoccupati sull’andamento della pandemia (es. controllare costantemente la curva dei contagi e sentirsi angosciati), la paura legata alla possibilità di frequentare luoghi abituali (scuola, supermercato) per il timore di essere contagiati, l’attivazione di atteggiamenti di pulizia e sanificazione eccessivi e distanti rispetto alle linee guida consigliate, timore costante di morire o essere contagiati, perdita di interesse nei confronti della vita quotidiana, comparsa di tic, umore basso/necessità costante di piangere senza riuscire ad individuarne il motivo, ritiro sociale volontario, angoscia all’idea che un familiare possa recarsi al lovoro/sui mezzi pubblici/al supermercato per paura che venga contagiato e possa morire. Comparsa di incubi notturni o di sintomi fisici quali: gastrite cronica, enuresi notturna (soprattutto nei bambini sopra i 4 anni), mal di testa ricorrenti, perdita dell’appetito o fame nervosa.
Nel caso ci si riconosca intrappolati in uno o più di queste situazioni, sarebbe opportuno rivolgersi quanto prima ad uno psicologo per essere valutati e accompagnati in un percorso che permetta la riacquisizione di uno stato di benessere.
Perché il benessere psicologico è importante?
Tutti i principali studi di neuropsicologia hanno ormai dimostrato che mente e corpo non possono più essere considerati e trattati come due entità separate, ma come due aspetti in costante comunicazione e influenza: la salute fisica aiuta a raggiungere e mantenere stati di serenità e benessere psicologico tanto quanto la salute mentale ha ripercussioni positive sul funzionamento fisico (sistema endocrino, immunitario e cardiocircolatorio) e, soprattutto nei più piccoli, aiuta a sostenere una serena crescita individuale anche e soprattutto in epoca Covid.