Fa molto riflettere la vicenda del giovane Lorenzo Seminatore il cui cuore, per una sindrome anoressica, il 3 febbraio a soli 20 anni ha cessato di battere nel sonno. Ne hanno parlato con estrema compostezza i genitori nella trasmissione Porta a Porta andata in onda martedì 18 febbraio. Una famiglia normale, agiata, serena, con quattro figli, unita da amore reciproco e da spensieratezza dove i genitori hanno riferito che esistevano anche alcune tenere consuetudini quali ad esempio quella di scambiarsi messaggi di buongiorno al mattino sul gruppo famiglia di WhatsApp.
Ed è questa “apparente” normalità che più colpisce ed impressiona perché si sa, in queste vicende drammatiche dove i genitori devono piangere i propri figli, non ci sono ragioni che possano giustificare l'immenso dolore come ha sottolineato la mamma: “da oggi non vivrò più ma sopravviverò”. Ed allora ti chiedi: perché? Perché proprio a te, ma sai anche che non avrai mai una risposta. Certamente ognuno di noi si è rivisto nel dolore composto di quella mamma e di quel papà sentendo probabilmente anche scorrere un brivido lungo la schiena. In questi momenti infatti non esistono parole, non esistono consolazioni per la perdita di un figlio, la stessa Maria ce lo insegna col pianto ai piedi del Figlio sulla Croce.
Ma cio che più fa riflettere è cercare di capire il perché Lorenzo si sia lasciato morire. Vorremo infatti porre l'attenzione su cosa sia possibile fare oggi per fermare circostanze come quella vissuta dal ragazzo, dove la depressione spesso detta le scelte del vivere o del morire. Hanno raccontato i genitori che Lorenzo, grazie a cure intensive cui si era sottoposto, aveva in qualche maniera superato una prima fase critica” tornando a vivere” ma che è stato soltanto un rimandare perchè, dopo un certo periodo di benessere, il male si è ripresentato ancor più forte di prima sconfiggendo lui e tutti suoi cari. E allora ad una domanda specifica rivolta dall'intervistatore ai genitori su che cosa eventualmente si sarebbe potuto fare di più, hanno risposto laconicamente: “nulla” ed ancora incalzati dal conduttore sul perché non si potesse fare nulla hanno risposto: era maggiorenne.
Ed è qui che ci vogliamo soffermare e riflettere su cosa può comportare, in futuro ed in maniera esponenziale, l'autodeterminazione normata dalla legge 219 sulle Dat (disposizioni anticipate di trattamento), la quale di fatto ha positivizzato il diritto del paziente di rifiutare le cure e di lasciarsi morire. Tale legge, suffragata dalla recente sentenza della Corte Costituzionale sulla non punibilità del suicidio assistito in presenza di determinate condizioni tra le quali appunto le “sofferenze psicologiche”, viene avvallata anche dai nuovi indirizzi applicativi dell'art. 17 del codice deontologico che allineandosi ai dettami della Consulta, concede facoltà al medico di decidere sull'aiuto al suicidio secondo la propria coscienza attraverso l'abolizione di norme sanzionatorie disciplinari.
Il punto di domanda è se il Tso (trattamento sanitario obbligatorio), in base al principio di autodeterminazione in un paziente maggiorenne in simile evenienza ed alla luce delle ultime disposizioni di legge in materia di Dat e suicidio assistito, sarà ancora eseguibile. Problematica etica – medico – giuridica di difficile interpretazione. La triste realtà è che in questa cultura di morte, drammaticamente così attuale, Lorenzo ci ha lasciato e la speranza è che tale tormento che ha colpito la sua famiglia sia almeno per tutti motivo di riflessione e monito per le nostre coscienze.