Un “grande fossato” s’interpone tra noi e Gesù Cristo. Noi non c’eravamo quando, in modo misterioso, Dio ha voluto assumere la nostra condizione umana. La Chiesa fa da ponte, da garante, annulla le distanze e rende presente il Signore. Non era un ingenuo, Gesù, sapeva bene che appena da una casa il padre si allontana, i figli resteranno ad accapigliarsi per un nonnulla. Necessita, ce ne rendiamo conto in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni situazione, che qualcuno abbia diritto all’ultima e autorevole parola. Nella vita la cosa più difficile di tutte è l’equilibrio.
La Chiesa nella quale abbiamo avuto la grazia di nascere, dopo aver guidato e nutrito noi, deve arrivare fino alla fine dei tempi. Non sarà semplice, la promessa di Gesù, però, le dà forza e coraggio. La Parola di Dio è luce che illumina le tenebre più oscure, è vero, essa, però, “non va soggetta a private interpretazioni”. Dalla Parola di Dio le generazioni che verranno dovranno attingere insegnamenti che oggi nemmeno immaginiamo. D’altronde, chi, nei secoli passati, avrebbe potuto immaginare che verità cristialline come l’acqua di sorgente – il fatto che per nascere, un bambino necessita di un padre e una madre – fosse messa in discussione nel nostro tempo?
“La Chiesa non ha nemici anche se molti si considerano nemici della Chiesa” diceva san Giovanni XXIII. Ma perché mai alcuni si considerano nemici della Chiesa? Semplice, perché essa deve obbedire e annunciare una parola che non è sua. Non può scendere, quindi, a compromessi, ha da portare Cristo al mondo. E Cristo è la vera rivoluzione. Duemila anni sono molti, cambiano i tempi, i linguaggi, i valori. Cadono – debbono cadere – tanti orpelli inutili, mai verrà meno il messaggio di Gesù Cristo.
Amare Dio e amare il prossimo è il cuore del vangelo. A questi due comandamenti debbono obbedire i cristiani. Facile a dirsi, più difficile a farsi. Perché amare il prossimo vuol dire dargli il pane da mangiare e l’aria da respirare; il lavoro, la casa, la dignità. Ma vuol dire anche annunciare il vangelo a chi, pur essendosi arricchito sulla pelle dei fratelli, ha smarrito la gioia di vivere. E prossimo sono anche i bambini non ancora nati ma già palpitanti nel grembo materno e i vecchi che pesano sul bilancio economico di un Paese.
Niente va perduto di tutto ciò che è fatto per e con amore. Nel mondo i cristiani sono centiniaia di milioni, tanto diversi tra loro per età, cultura, storia personale e nazionale, carattere, situazione economica e santità di vita. La Chiesa, madre e maestra, non può lasciare indietro nessuno. È del tutto comprensibile che i cristiani dei Paesi più poveri ed emarginati del globo approfondiscano certe pagine del vangelo sulle quali magari sorvolano i fratelli dei paesi ricchi e viceversa. La Chiesa è il punto di equilibrio. Ci sono, poi, i nostalgici dei tempi che furono e quelli per i quali tutto ciò che è vecchio è ormai fuori moda. La Chiesa ama gli uni e gli altri. Bello sarebbe se gli e gli altri riamassero la Chiesa.
Il 25 gennaio del 1959, papa Giovanni XXIII, diede l’annuncio di un Concilio. Passerà alla storia come il Concilio Vaticano II. È stato ed è la nostra bussola. Non tutti i cristiani furono entusiasti dell’insegnamento del Concilio. Tanti, dentro e fuori la Chiesa, hanno avuto, e ancora hanno, difficoltà ad accoglierlo. C’è chi lo ritiene già antiquato e volentieri indirebbe un Vaticano III e chi, al contrario, vorrebbe ritornare al Vaticano I. Senza entrare nel merito delle discussioni teologiche, il cristiano semplice si pone una domanda semplice: secondo quali criteri un Concilio sarebbe valido e un altro no? Il principio non può assolutamente essere quello soggettivo, sarebbe la rovina di tutto. Nella Chiesa si studia, si discute, si ragiona, si prega. Si mettono a confronto le idee, sapendo e credendo che lo Spirito Santo, in modo misterioso e vero, guida la barca di Pietro. Alla fine si obbedisce a ciò che la Chiesa insegna, anche – e soprattutto – quando le proprie idee non sono state condivise.
I santi, i profeti, coloro che hanno ricevuto di più, sono anche coloro che hanno sofferto di più. A Giuseppina, la sorella di don Primo Mazzolari, qualche anno dopo la sua morte, papa Paolo VI ebbe a dire: «Suo fratello ha sofferto e fatto soffrire. La colpa non è stata nostra. Lui correva troppo e noi si arrancava a stargli dietro. Questa è la sorte dei profeti». Illuminanti, semplici, concrete, come sempre, le parole di Papa Francesco: « Il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti al tuo modo, alla tua voglia, tu non stai con la Chiesa».